dna cervello coscienza consapevolezza educazione
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International Society of Neuropsychophysiology "Dal DNA il cervello, dal cervello la coscienza"
International Society of Neuropsychophysiology"Dal DNA il cervello, dal cervello la coscienza" 

 

E’ PIU’ FORTE DI ME

 

di

Marina Salvadore*

 

Frasi come questa, dette o sentite, passano spesso inosservate perché apparentemente innocue ed insignificanti; invece, se ci pensiamo bene, segnalano un atteggiamento mentale di passività e rassegnazione, per non dire di vera e propria impotenza, di fronte ad un ostacolo che magari non siamo stati in grado di superare una volta, e che da quel momento per il nostro cervello può diventare insuperabile.

 

Così, basta un’esperienza negativa, un insuccesso (ad esempio la paura o l’inadeguatezza vissute nell’affrontare una situazione) e frasi di questo tipo vanno ad “allearsi” (a nostre spese) con una bassa autostima o con una fiducia in noi stessi traballante, vacillante di fronte a ciò che non riusciamo a fronteggiare, diventando vere e proprie strategie automatiche di risposta a ciò che  sembra minare il nostro equilibrio, una via di fuga “preferenziale” del cervello che, in assenza di un Io che lo guidi, fa tutto da solo e in automatica e che, appunto, preferisce attribuire all’ostacolo in questione una forza superiore alle proprie capacità, “più forte di lui”, pur di giustificare i propri insuccessi.

Il fatto è che le parole, sia costruttive che distruttive, sono energia per il cervello, quindi informano e trasformano; ed ognuna di esse, se usata senza una reale conoscenza e consapevolezza del suo significato e del suo effetto, può informare e trasformare sulla base di pregiudizi e di false convinzioni che, a volte, possono segnare la nostra vita in modo indelebile.

 

L’energia delle parole va a modificare “qualcosa” nel cervello, sia di chi le usa, sia di chi le riceve; e tale modificazione avverrà sempre sulla base del contenuto sostanziale che le parole trasportano, anche se le ripetiamo distrattamente, senza dargli il giusto peso. Quindi, se non le identifichiamo bene, ovvero se le usiamo “così per dire…” o giustificandone l’uso improprio magari dietro ad un “sono cose che si dicono…”, le parole acquistano su di noi un potere che, di volta in volta, si imporrà attraverso lo stereotipo verbale di turno: “tanto…non ci riuscirò mai…”, “sono fatto così…”, “è una questione di carattere…”, “ormai alla mia età…”, “che ci posso fare…”, andando via via a costruire nel cervello, a nostra insaputa, solide “barricate” contro la necessità fisiologica di sbagliare per capire, si sperimentare per crescere, una “prigione”, mentale prima, e comportamentale poi, che va a limitare sempre più i nostri spazi e la nostra libertà, la realizzazione dei nostri progetti, la nostra stessa vita.

 

E noi?

Come facciamo a far finta di niente di fronte a tutto questo, visto che poi non tardano ad arrivare i segnali fisiologici (ansia, angoscia, depressione …) di una situazione a dir poco conflittuale tra ciò che vorremmo esprimere, e che il cervello ci fa credere di non volere più, e ciò che ci impedisce di realizzarlo?

 

Noi, che da qualsiasi parte del mondo proveniamo o qualsiasi colore abbia la nostra pelle, siamo nati tutti per un unico ed immenso obiettivo: esprimere la nostra energia cosciente, in ognuno unica ed irripetibile.

 

Noi, che dovremmo imparare ad usare le parole secondo l’obiettivo per cui esistono, ovvero come strumenti per esprimere noi stessi, le nostre emozioni, i valori in cui crediamo, la nostra unicità …  e che invece ci ritroviamo a dover fare i conti con una cultura spesso banale, fonte di stereotipi e frasi fatte, che va più a soffocare la nostra realtà sostanziale che a favorirne l’espressione.

 

I conti non tornano.

 

E non potrebbero tornare visto che, sin da quando siamo piccoli, ci costringono a ripetere attraverso forme di ricatto come premi, gratificazioni e punizioni, ci addestrano ad acquisire schemi e modelli, ci abituano ad un apprendimento passivo, senza che ciò che ripetiamo, ciò a cui veniamo addestrati e ciò che apprendiamo passivamente passi per il nostro senso critico fino, a volte, a ridurci a meri “ripetitori” di una cultura formalmente perfetta ma che, troppo spesso, è priva di contenuti utili ad una reale e sostanziale espressione delle nostre sensazioni, delle nostre emozioni, della nostra umanità, della nostra coscienza.

 

Quante parole, che siamo abituati ad usare tutti i giorni, inibiscono e bloccano le nostre potenzialità di esseri umani …

 

E quante offendono, senza che lo vorremmo, la nostra e l’altrui dignità…

 

E quante ancora, senza che lo sappiamo, “lavorano” sotto sotto nel nostro cervello, affievolendo sempre più in noi, ogni volta che le ripetiamo, quella spinta energetica, già prevista alla nascita nel nostro DNA, che in assenza di tutto questo disordine culturale potremmo fisiologicamente seguire per diventare esseri umani saggi e giusti, liberi e felici!

 

Cominciamo, allora, a rivedere tutte le parole che abbiamo ripetuto da sempre e che non ci sono utili (ma che, anzi, danneggiano noi stessi e chi ci ascolta) senza difenderci dietro l’idea che le abbiamo sempre dette, perché così facendo non difenderemmo noi stessi ma solo l’abitudine a ripetere quello che non abbiamo mai scelto.

 

Eliminiamo dal nostro vocabolario tutte quelle espressioni che ci limitano e che ci fanno vedere le nostre difficoltà come ciò a cui dobbiamo sfuggire, anzi che ostacoli da superare per crescere, per diventare forti e promuovere la nostra autostima.

 

Dietro frasi come quelle che citavo prima, e dietro tante altre, si nascondono l’inadeguatezza, il non sentirsi all’altezza, la paura di sbagliare, tutte “trappole” messe in atto dal cervello, veri e propri alibi escogitati per non affrontare i problemi che, con le chiavi giuste, sarebbero affrontabilissimi; ma si nasconde anche la convinzione tremenda, e grandemente sbagliata, che si nasce forti oppure deboli, capaci o incapaci, sicuri o insicuri, con un tipo di carattere o con un altro, quasi come fossimo figli del caso o di una “fisiologia ingiusta” che non dà a tutti le stesse possibilità!

 

E non a caso, invece, si parla di “inadeguatezza appresa” perché, se da un lato nasciamo per scoprire noi stessi e le nostre potenzialità che, nel corso della vita, dovrebbero trasformarsi gradualmente in capacità effettive, dall’altro siamo immersi in un mondo di informazioni che non sono affatto funzionali a questo obiettivo, ma con le quali spesso “impariamo” a diventare più inadeguati ed insicuri che capaci e fiduciosi in noi stessi.

 

Occorre quindi “smascherare” il nostro emisfero sinistro, visto che tali meccanismi automatici risiedono in questa parte del cervello: verifichiamo ogni cosa per cui saremmo inadeguati o non abbastanza forti e capaci attraverso il principio di oggettività e di obiettività, ovvero chiediamoci cos’è ogni cosa o situazione e a cosa serve.

 

Non identifichiamoci in ciò che pensiamo o che diciamo, difendendolo poi a tutti i costi solo perché ormai lo abbiamo detto o pensato, visto che spesso non siamo noi gli artefici di quello che la nostra bocca dice o che il nostro cervello pensa.

 

Verifichiamo, invece, i pensieri e le parole che ci vengono spontanei secondo l’utilità che hanno per noi e per la nostra vita, pronti ad eliminare o a convertire in positivo ciò che non risponde a questo principio.

 

Il cervello, se non lo teniamo sotto controllo, lavora da solo ed automaticamente, ed altrettanto automaticamente tende ad evitare tutte le esperienze che ha messo in memoria se collegate ad un disagio, ad una sofferenza, allo scopo di mantenere un suo equilibrio; così come, per lo stesso scopo, tende a ripetere quelle che gli procurano piacere e attraverso le quali si sente gratificato.

 

Misurarci solo con ciò che abbiamo già sperimentato e in cui riusciamo bene dà sicurezza ma, se ci pensiamo meglio, è una sicurezza fittizia, fine a sé stessa, è sicurezza per il cervello ma non per l’Io che dovrebbe esserne alla guida, come unico gestore dell’esistenza di ciascuno di noi.

 

E’ proprio qui la chiave: ciò che il cervello rifiuta è spesso quello che noi dovremmo andarci a cercare per affrontarlo, risolverlo ed autodimostrarci la nostra forza.

 

Così, non diamo subito retta a ciò a cui istintivamente sfuggiremmo: chiediamoci, prima di tutto, se si tratta della fuga da un problema oggettivo, reale, quindi da una situazione per noi dannosa, non utile, (e in quel caso ben venga rifiutarla) o se invece si tratta della fuga da un problema o da una situazione il cui superamento ci dà la possibilità di crescere e di essere più liberi.

 

Facciamo tutto questo e pian piano scopriremo che niente, se lo vogliamo, può essere più forte di noi, ma che, al contrario, dal superamento delle difficoltà viene fuori la nostra vera forza e, con essa, la gioia di esprimere la nostra vera energia, mai ripetitiva e sempre nuova, unica e irripetibile, che nessun automatismo, nessuna parola o frase al mondo, nessuna cultura che non sia realmente e concretamente a servizio di ogni essere umano, potranno mai offuscare né dominare!

 

*Membro del Comitato Esecutivo I.S.N.,Segretario Generale Aggiunto I.S.N., Educatrice, A.F.D. (Abilitazione a      Funzioni Direttive – Caposala)

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