UN “PILOTA” DA EDUCARE
(gennaio-marzo 2005)
di
Michele Trimarchi
Il nostro cervello è uno strumento meraviglioso “progettato” per far nascere in sé un essere unico e irripetibile capace di gestirne tutte le potenzialità geneticamente predisposte al fine di scoprire gradualmente le meraviglie di un mondo creato per dare felicità.
Il bambino, alla nascita, è dotato di questo strumento dalle infinite potenzialità, e nel corso della crescita deve formarsi il “pilota” in grado di guidarlo, ovvero l’Io cosciente capace di gestire tutte le funzioni del cervello e utilizzare lo spazio-tempo della propria esistenza per esprimersi creativamente e armonicamente partecipando all’evoluzione sociale, culturale e umana.
Il sistema nervoso è dotato di “meccanismi” perfetti e le sue risposte sono sempre strutturate e organizzate secondo principi e funzioni geneticamente programmate: proprio questo ha permesso e permette ancora all’essere umano di esprimersi e vivere a livello psicomotorio, cognitivo, relazionale ed emozionale senza il pilota del cervello, ovvero senza un Io che guidi istante per istante il cervello e decida azioni e comportamenti in base ad un criterio di “utilità evolutiva” per la persona.
La nascita biologica deve essere propedeutica alla nascita della coscienza, che con una corretta educazione dovrebbe svilupparsi già intorno ai 7-8 anni per continuare a crescere ed arricchirsi durante tutta la vita.
Possiamo dire che la vera “nascita” avviene proprio quando prendiamo coscienza di avere a disposizione questo mezzo così potente che è il nostro cervello ed impariamo a usarlo nel migliore dei modi: purtroppo il caos in cui vive la maggior parte degli esseri umani testimonia che ancora manca la coscienza all’interno del cervello umano, altrimenti il mondo sarebbe tutt’altro da quello che stiamo vivendo, non assisteremmo al dilagare di psicopatologie, uso e abuso di psicofarmaci e droghe, devianze di ogni genere, drammi e conflitti ad ogni età e ad ogni livello della vita sociale (per non parlare del grave e crescente inquinamento ed alterazione dell’ecosistema in cui viviamo).
In assenza dell’Io cosciente ognuno agisce “obbedendo a un padrone momentaneo” che si sviluppa all’interno del cervello in base alle memorie, ai modelli sociali e culturali, ai condizionamenti: sono questi che quando vengono evocati dominano il comportamento, impedendo l’espressione creativa e consapevole della persona che in tal modo si ritrova, suo malgrado, a dibattersi in conflitti, ansie, malesseri, sofferenze generati proprio dal caos e dalla conflittualità delle informazioni ricevute fin dai primi anni di vita.
All’interno del cervello abbiamo i lobi frontali dei due emisferi nei quali, durante la crescita, deve prendere forma ed instaurarsi il proprietario, l’Io cosciente.
L’Io cosciente non è un’entità astratta, è una realtà concreta che deve gestire la funzione dei due emisferi nei quali risiede la centrale di comando del cervello e di tutto il corpo, in cui tutto arriva e da cui tutto parte, e la centrale di comando deve essere controllata ed utilizzata dall’Io per evitare che i suoi strumenti e le sue funzioni agiscano automaticamente.
L’individuo (bambino o adulto) deve essere presente nel proprio cervello, deve essere cosciente di come funziona e di come egli stesso può decidere in ogni istante il comando in qualsiasi parte del corpo: è l’individuo che deve poter comandare il corpo e il cervello, usando la propria intelligenza per programmare e realizzare le proprie azioni e la propria vita.
L’Io, il pilota, dovrebbe decidere tutto, fare i suoi progetti e realizzarli già a partire dai livelli più semplici.
Se decidiamo di muovere il dito in un determinato modo, non possiamo farlo? Se decidiamo di urlare, non siamo capaci di urlare?
Se decidiamo di stare zitti, non stiamo zitti? Se decidiamo di non rispondere ad una provocazione, non riusciamo a farlo?
Se decidiamo di cambiare un’idea sbagliata, non la cambiamo?
Siamo in grado di fare tutto ciò che decidiamo: basta che lo pensiamo, lo progettiamo e poi lo eseguiamo quando e come vogliamo.
Dobbiamo essere noi a decidere di noi stessi, non gli stimoli che ci arrivano dall’esterno.
Ma chi ci ha mai insegnato che possiamo essere noi a decidere?
Impariamo a camminare fin da piccoli e poi ci muoviamo secondo l’umore: siamo depressi e non riusciamo più a muoverci, siamo in ansia e ci agitiamo troppo… ma noi dove siamo?
Dov’è il pilota del cervello, il nostro Io?
Una delle più gravi carenze della ricerca neuroscientifica è non aver fatto ancora chiarezza sul fine del cervello, ed è proprio su questo che si è concentrata la Neuropsicofisiologia: fine del cervello è dar vita ad un Io che deve diventarne proprietario assoluto per gestire e decidere della propria vita nel rispetto di sé e dell’ambiente umano e naturale.
La psicologia dell’età evolutiva ha dettagliato le varie fasi di sviluppo motorio, cognitivo, emozionale, sociale, ma cosa deve prioritariamente svilupparsi?
Che senso ha, sostanzialmente, lo sviluppo delle varie competenze e funzioni se al tempo stesso non si sviluppa un Io in grado di gestirle?
Il nostro programma genetico prevede il graduale sviluppo delle potenzialità e funzioni biologiche, sviluppo che in età puberale è già completo, tanto che a partire dalla pubertà l’individuo è anche in grado di procreare, ha un corpo pronto ad esprimersi su tutti i piani.
Ma di pari passo si sviluppano la consapevolezza e la coscienza di queste potenzialità e funzioni?
Quasi mai… Allo sviluppo biologico quasi mai corrisponde lo sviluppo della coscienza, poiché non prende forma e non cresce il proprietario del cervello, per cui l’esistenza delle persone viene di fatto gestita dalle esperienze, dalle interpretazioni che se ne ricavano e dalle memorie che rimangono impresse.
L’Io non è dissociato dal cervello, ma si sviluppa al suo interno da una sorta di “energia bianca” che prende i colori man mano che interagisce con l’ambiente, e il primo colore, ovvero la prima capacità che deve sviluppare è quella di scoprire e comandare il proprio corpo.
Ogni attività del bambino nel primo periodo della vita è finalizzata a scoprire il suo corpo e le sue funzioni, le sue potenzialità di cui deve prendere coscienza man mano che le sperimenta.
Purtroppo oggi, nella maggior parte dei casi, il bambino è fortemente limitato in questa sua spinta fisiologica a scoprire e sperimentare le proprie potenzialità poiché l’ambiente che lo circonda è spesso caotico: si muove in un ambiente perlopiù artificiale, pieno di stimoli preconfezionati (dai cartoni animati ai giocattoli industriali) che non favoriscono le sue capacità sensoriali, percettive e ideative come invece fanno gli stimoli naturali, per non parlare delle disarmonie e delle tensioni che spesso assorbe dalla famiglia e che limitano il graduale sviluppo della sua sicurezza, autonomia e autostima.
Un bambino vorrebbe sempre essere al centro dell’attenzione, non perché è “viziato” ma perché ne ha bisogno, è una spinta genetica con cui nasce: essere al centro dell’attenzione vuol dire ricevere dall’ambiente tutti i nutrienti di cui l’essere ha bisogno per svilupparsi e crescere, dagli stimoli sensoriali a quelli emozionali in un continuum senza separazioni: il bambino ha bisogno di sentirsi importante per l’ambiente in cui vive, ha bisogno di sentirsi amato, rispettato e favorito nella sua spinta ad esplorare e sperimentarsi, ha bisogno che le sue figure di riferimento “parlino al suo Io”, a quell’energia immensa che è dentro di lui e che deve gradualmente assumere il comando del cervello per dar vita all’Io cosciente.
Questa società ha creato un sistema cosiddetto educativo che di fatto condiziona e imprigiona il bambino in regole e modelli da assorbire senza neanche saperne il motivo sostanziale, ma un tale sistema “offende” la dignità e le potenzialità dell’essere umano.
Il bambino è un progetto bellissimo, immenso, e il fine dell’educazione deve essere quello di promuoverne la piena realizzazione, favorendo il graduale sviluppo di un essere in grado di gestire il proprio cervello sviluppando coscienza e consapevolezza di sé come essere unico e irripetibile capace di creare ed esprimere armonia.
La Neuropsicofisiologia ha dato validità scientifica a tali concetti, ha studiato il cervello umano per comprendere la genesi della coscienza, la genesi del comportamento e dei meccanismi per cui un essere è capace di uccidere per odio e al tempo stesso di amare e dare la vita per l’affermazione di valori universali.
Da tali studi è emerso che la chiave per comprendere l’esistenza umana e lo scopo della vita stessa è proprio la nascita dell’Io cosciente di ogni individuo, e l’educazione ha un ruolo insostituibile nel favorire o ritardare tale nascita.
L’essere umano può diventare un “genio” o un “automa”, può esprimere saggezza o banalità, può creare armonia o caos, tutto dipende dalla qualità dell’educazione che riceve: in assenza di malattie genetiche o deficit organici, il bambino alla nascita ha tutte le potenzialità per sviluppare genialità e saggezza, ma se viene bloccato con ristrette regole educative, imposizioni, rimproveri umilianti, punizioni, aspettative, tutto questo va a limitare fortemente l’espressione delle sue potenzialità.
È invece necessario canalizzare la sua potente energia vitale in una direzione che gli permetta sempre di esprimersi, di esplorare e conoscere, di sperimentarsi, di sviluppare la sua creatività.
Educare significa “educĕre”, tirar fuori, non condizionare; significa stimolare il bambino a venir fuori, ad osservare e verificare ciò che lo circonda, non dovrebbe apprendere nulla senza conoscerne il significato e l’utilità.
Un bambino che impara a verificare tutto ciò che sperimenta, a comprenderlo nella sua reale utilità, scopre e prende gradualmente coscienza del mondo circostante e di se stesso, e questa è una spinta genetica che si manifesta fin dalla nascita.
Il bambino nasce “scienziato”, nasce con il desiderio di scoprire e conoscere, ma tale spinta viene bloccata e paralizzata dagli infiniti divieti ed imposizioni che, seppur in buona fede, gli vengono impartiti sin dalla più tenera età.
Alcuni riescono a ribellarsi cercando comunque vie di espressione, anche pagando prezzi molto alti; altri si adattano e finché ci riescono diventano dei perfetti “modellini sociali”.
Ma chi si adatta ai modelli sociali acriticamente, senza possibilità di scelta o valutazione, non fa evolvere l’umanità, altrimenti l’umanità sarebbe già perfetta.
L’essere umano non è un modello, ma una realtà dinamica, e il cervello ha bisogno continuamente di stimoli che lo alimentino, ha bisogno di evolversi, di andare avanti, di interagire costruttivamente con l’ambiente, e tutto l’ambiente – interno ed esterno – parte da una base fisica, poiché tutto è fisico.
La parola è uno stimolo fisico, è energia, e non c’è nulla che non sia energia nel nostro universo.
Ogni forma di energia ci informa costantemente della propria presenza perché il nostro cervello è in grado di misurarla, e potrebbe misurarla fisiologicamente se non subisse condizionamenti che vanno a distorcere proprio i suoi strumenti di misura, esattamente come spiegato da Pavlov con i suoi esperimenti sul condizionamento classico: se ad uno stimolo fisiologico associamo uno stimolo condizionante, la risposta fisiologica sarà prodotta dallo stimolo condizionante anziché da quello fisiologico, e questo è generalizzabile a tutto il comportamento umano.
A forza di sottoporre l’essere umano a stimoli condizionanti abbiamo separato la funzionalità dei suoi due emisferi cerebrali, destro e sinistro, abbiamo dissociato l’essere dal suo Io, quell’Io che dovrebbe usare entrambi gli emisferi per continuare a crescere in coscienza e conoscenza.
È sempre questo il punto nodale: l’unitarietà dell’essere umano guidato dal proprio Io.
Platone parlava dell’Auriga che doveva guidare un cavallo bianco e un cavallo nero, la Neuropsicofisiologia parla dell’Io che deve guidare l’emisfero destro e l’emisfero sinistro per sviluppare un comportamento utile alla propria ed altrui evoluzione.
E l’Io non spunta dal nulla né appare improvvisamente ad un certo punto dello sviluppo, ma deve essere messo in condizione di nascere gradualmente da un’educazione che rispetti l’immensità del bambino e ne favorisca l’identificazione.
Il bambino deve potersi identificare in sé stesso e sviluppare una propria coscienza con la quale utilizzare al meglio il proprio corpo e il proprio cervello per creare tutto ciò che decide di creare.
Ma quando mai ci rivolgiamo all’Io del bambino?
Quando gli chiediamo “cosa senti, cosa pensi, cosa hai capito o non hai capito”?
Quando ci soffermiamo con il bambino per cercare di farlo venir fuori, di farlo esprimere sostanzialmente, di stimolarlo a creare progetti?
La vita stessa deve essere un progetto da portare avanti, ma bisogna dirlo al bambino, altrimenti lo consideriamo di fatto “menomato”, lo consideriamo un contenitore da riempire con una massa di informazioni senza dare a lui la graduale possibilità di verificarle, selezionarle e scegliere quelle che gli sono utili alla sua crescita psicofisica e spirituale.
La capacità di decidere della propria vita appartiene ad ogni essere umano: ciascuno di noi è potenzialmente in grado di decidere come comportarsi, se rispondere o tacere, se intervenire o lasciar correre, se accettare un compromesso o mantenere la propria posizione… possiamo decidere tutto se è il nostro Io a valutare le situazioni e a gestire il nostro cervello.
Possiamo persino decidere di vivere felici, nessuno ce lo può vietare se non i nostri condizionamenti e le nostre memorie, ma i condizionamenti possiamo identificarli e trasformarli arricchendo così la nostra esperienza e conoscenza, e le memorie possiamo imparare ad archiviarle e utilizzarle solo quando ci servono.
Le memorie risiedono nei lobi temporo-parieto-occipitali, che costituiscono appunto una sorta di “archivio”, mentre i lobi frontali e prefrontali sono la sede dell’Io, della capacità volitiva di identificare, valutare, verificare e decidere in base al dinamismo della realtà.
Con il nostro Io possiamo tenere in archivio le memorie rimanendo liberi di osservare, identificare, verificare tutto ciò che accade intorno a noi e possiamo decidere, fare progetti e realizzare tutto quello che riteniamo utile alla nostra vita.
Le memorie sono il nostro passato, e dal passato dobbiamo prendere solo ciò che è utile nel presente: l’Io vive il dinamismo del presente, gestendo i nostri organi di senso, il nostro corpo, il nostro comportamento, la nostra attività mentale ed ideativa.
Troppi si rovinano l’esistenza e non vivono il presente perché rimangono ancorati al passato, con il suo carico di memorie spesso dolorose; dobbiamo invece acquisire la certezza che il presente è nelle nostre mani e dipende da noi progettarlo e viverlo utilizzando positivamente le esperienze, coscienti della nostra unicità e della “sacralità” della nostra vita come di quella altrui.
In sintesi, se il cervello lo gestiamo noi con il nostro Io, tenendo in archivio le memorie, siamo noi a decidere quello che ci deve accadere e che non ci deve accadere, quello che vogliamo realizzare e quello che non vogliamo realizzare, imparando nel contempo a gestire quegli accadimenti che non dipendono dalla nostra volontà.
L’importante è tenere le memorie al loro posto, nei loro archivi, e farle venir fuori solo quando lo decidiamo noi, esattamente come quando richiamiamo un file da un computer.
Nel computer i file vengono richiamati solo su richiesta di chi lo usa, mentre nel cervello umano basta uno stimolo che si associa ad una memoria e quella, in assenza dell’Io, viene richiamata automaticamente e ci fa rivivere magari la stessa sofferenza di venti anni prima.
Quindi il nostro cervello è una potenza immensa: se lo gestiamo noi possiamo essere veramente "creatori" sulla Terra, invece se viene gestito dagli stimoli esterni e da tutto quello che che quotidianamente ci arriva addosso siamo "oggetti" pilotati continuamente dalle varie memorie, con tutta la sofferenza che spesso portano con sè e che riversiamo anche nel presente, precludendoci la possibilità di progettare e decidere della nostra vita creativamente e costruttivamente.