ORIGINE DEL DISAGIO E METODO PER IL SUO SUPERAMENTO
Michele Trimarchi
tratto dalle lezioni tenute al Corso di formazione su
“Le condotte aggressive: metodologie di intervento educativo e preventivo”
Introduzione
Per poter comprendere la problematica delle condotte aggressive – che noi affrontiamo dal punto di vista multidisciplinare integrato – e fornire strumenti utili alla loro gestione e prevenzione è necessario innanzitutto comprendere le origini di tali condotte.
Non è un argomento che possiamo trattare come, ad esempio, quello della tecnologia, dove si può applicare una certa tecnica ed ottenere precisi risultati, poiché qui stiamo affrontando un tema che riguarda gli esseri umani, riguarda ciascuno di noi ed il mondo che ci circonda: dobbiamo capire bene come avvicinare l’essere umano senza produrre reazioni, chiusure, aggressività, cioè dobbiamo capire come l’essere umano sviluppa questi comportamenti per poi individuare il metodo migliore per intervenire e cercare di trasformare qualsiasi forma di aggressività in una forma di serenità, consapevolezza, presa di coscienza.
L’armonia del cervello alla nascita
Partiamo dallo sviluppo di un comportamento fisiologico.
Alla nascita il bambino non ha “condotte aggressive” perché è fisiologicamente strutturato e armonizzato sulla base di un programma genetico che lo pone in una condizione di non avere alcuna ragione di essere aggressivo: l’ambiente materno è infatti un ambiente fisiologico predisposto a mantenerlo in uno stato di serenità, a meno che non intervengano fattori interni (malattie materne, alterazioni genetiche) o esterni (agenti tossici, radiazioni) capaci di produrre modificazioni e alterazioni delle sue strutture neuronali.
In condizioni fisiologiche, quindi, il bambino alla nascita ha un cervello totalmente in armonia con sé stesso, pronto a relazionarsi all’ambiente circostante, ovvero pronto ad interagire con tutte le forme di energia presenti nell’ambiente.
Il cervello è dotato di un sistema di protezione e difesa dei propri equilibri omeostatici, ed è inoltre dotato di una serie di pulsioni che lo spingono a crescere e a sviluppare una personalità, una coscienza, una realtà cosiddetta umana.
Il cervello è strutturato per riconoscere il linguaggio della Natura.
Il linguaggio della Natura si basa su principi fisici: la Natura è infatti misurabile e comprensibile con gli strumenti della fisica, della dinamica, dell’elettromagnetismo poiché ogni atomo e ogni molecola hanno un “linguaggio elettromagnetico”.
Per fare un esempio pratico, ciò che ascoltiamo come musica produce una risposta all’interno del nostro cervello, o addirittura all’interno del nostro DNA, legata alla misurazione fisica delle varie forme di armonie che il segnale trasporta con sé.
Il cervello è in grado di riconoscere ciò che è armonico e ciò che è disarmonico al di là di tutti gli insegnamenti possibili e immaginabili, poiché ha già in sé una “educazione” costituita dalle memorie genetiche dei neuroni, un’educazione con un linguaggio armonico.
Alla nascita il cervello è pronto a misurare ogni forma di energia ed è pronto a riconoscere ciò che lo conferma, che lo armonizza, e ciò che invece lo disconferma, lo violenta, lo limita nella sua espressione e nella sua crescita.
Questo perché il cervello ha già in sé una intelligenza, un linguaggio, che è proprio quello della Natura, ed è lo stesso linguaggio che regola le leggi dell’Universo e, nel nostro caso, possiamo dire le leggi del sistema solare.
Il cervello è pronto a riconoscere i ritmi circadiani, i bioritmi energetici solari, le fasi lunari, è pronto a riconoscere tutto al di là di ogni nostro insegnamento, poiché riconosce la logica dell’energia, la logica insita nell’energia che forma il nostro ecosistema.
Il cervello, dunque, ha una sua intelligenza, un suo equilibrio, una sua capacità di identificare e misurare tutte le forme di energia provenienti dall’ambiente e questo fa sì che il bambino sia già in sé un’armonia immensa in grado di riconoscere se ciò che gli viene trasmesso è armonico oppure no.
Tutto ciò che accade intorno a lui viene recepito dal suo cervello perché tutte le informazioni dell’ambiente sono energia: la parola è un’energia meccanica, la luce è un’energia elettromagnetica, un sapore, un odore sono altre forme di energia elettromagnetica, sono molecole che quando entrano in contatto con i recettori trasmettono le loro armonie o le loro disarmonie.
Il cervello ha uno stato vibrazionale continuo e costante prodotto dall’oscillazione dei neuroni corticali (che sono circa 14 miliardi, divisi nei due emisferi) la quale genera un campo di forze che costituisce l’anima del bambino, un’anima formata dall’armonia emessa da tutti questi neuroni che oscillano in risonanza fra loro.
Ogni parte del cervello è deputata a svolgere una funzione e, nell’insieme, tutto è pronto per concatenarsi armonicamente.
Fisiologia dello sviluppo comportamentale
Questo finora descritto, però, è un processo che caratterizza il cervello al momento della nascita.
Pensiamo a quali violenze si cominciano ad operare sui bambini e capiremo perché si scatenano l’aggressività, la chiusura, la ribellione: se non partiamo dalla comprensione di questo processo fisiologico, non riusciremo né a comprendere il perché di tali comportamenti né a trovare ed attuare un metodo con cui prevenirli, gestirli e trasformarli.
Per affrontare qualunque forma di condotta aggressiva è indispensabile ricollegarsi con quella parte del bambino che abbiamo dissociato, ovvero con quell’anima che dovrebbe vibrare armonicamente e che è pronta riconoscere ciò che è armonico e ciò che è disarmonico, ciò che rispetta la fisiologia della crescita e ciò che la violenta.
A volte si riescono a stabilire con i bambini dei contatti che producono sensazioni immense: quando ci si armonizza con un bambino si genera musica, si genera un concerto, e tutti potremmo godere di questo processo meraviglioso, di questo processo fisico, di cui purtroppo nella maggior parte dei casi ignoriamo l’esistenza perché nessuno ce lo ha fatto comprendere e vivere.
La scienza e la cultura attuali hanno trascurato questi aspetti, hanno diviso il sapere in tanti campi, creando modelli approssimativi della realtà che hanno reso il cervello schizofrenico dissociando l’anima dal cervello stesso, inquinandolo, “vivisezionandolo”, portando l’essere a crescere il maniera disarmonica e coatta, bloccato da informazioni condizionanti che gli vengono trasmesse fin dalla nascita.
Il concetto che occorre avere bene impresso e chiaro, dunque, è che il bambino alla nascita non sta ad aspettare di capire la nostra intelligenza o la nostra cultura, ma è perfettamente capace di sentire e misurare tutta l’energia che noi gli trasmettiamo.
Qualsiasi chiasso, confusione e squilibrio dell’ambiente familiare si ripercuote inevitabilmente su questa armonia del bambino andandola a disturbare e perturbare.
L’ambiente fisico, con i suoi segnali, è verità, è realtà: è facile per il DNA dei neuroni cerebrali riconoscere e misurare queste informazioni perché è stato creato e strutturato da questi codici fisici e fisiologici.
Questi codici vengono riconosciuti dal cervello perché esso stesso è parte integrante del sistema – Natura, delle leggi di Natura, e tutte le informazioni naturali – le sfumature di un fiore, l’espressione di un viso, il suono di una voce, un sapore, un odore, l’azzurro del cielo, un cinguettio … - sono riconoscibili dal cervello del bambino, dall’anima del bambino, che viene educata dall’ambiente, dai segnali che l’ambiente le trasmette.
La vera scuola dell’anima è il linguaggio della Natura, un linguaggio che misuriamo con la fisica e che è già presente sotto forma di vibrazione armonica all’interno del cervello, perché, come abbiamo detto, i neuroni non sono immobili ma oscillano e vibrano emettendo un campo di forze che produce l’anima del bambino e, man mano che le informazioni si riversano all’interno del cervello, danno coscienza all’anima dell’ambiente circostante, delle possibili combinazioni di energia presenti nell’ambiente in cui il bambino nasce, e tutti i circuiti neuronali, se l’ambiente è naturale, rispondono adeguatamente.
Se invece l’ambiente è “artificiale”, si comincia a creare il caos all’interno del cervello. La cultura, infatti, ignorando le capacità di questa struttura cerebrale, che alla nascita è pronta a misurare qualsiasi forma di energia e a crescere con essa, comincia a trasmettere al bambino una marea di energie disarmoniche prodotte dall’uomo che si discostano a volte grandemente dalle leggi di Natura e dall’armonia della Natura.
Provate pensare quale armonia può trasmettere una pianta fiorita, pensate alla forma, ai colori, alle combinazioni di sfumature: sono infiniti messaggi che arrivano al cervello “informandolo” della loro armonia; provate invece ad immaginare un bambino che si trova in una stanza disordinata, caotica, con il rumore di liti o della televisione accesa, e pensate quale disarmonia va a modulare il cervello.
Per cui tutti i segnali, le informazioni e le forme di energia che non hanno codici armonici, se percepiti e memorizzati, creano condizionamenti, condizionamenti che producono una divisione funzionale dei due emisferi cerebrali.
I condizionamenti si sviluppano in un solo emisfero, quello sinistro, in modo da lasciare all’altro, il destro, la possibilità sempre e comunque di riconoscere e distinguere le informazioni armoniche da quelle disarmoniche. Per questo conserviamo per tutta la vita la possibilità e la capacità di recuperare il nostro rapporto con la “verità”, ovvero con l’armonia di un ambiente che può comunicarci la realtà obiettiva ed oggettiva che lo costituisce.
Più informazioni artefatte, codici astratti, parole, simboli dissociati dalla realtà fisica diamo al cervello del bambino, più produciamo in lui una netta separazione funzionale tra i due emisferi creando due veri e propri mondi che non comunicano tra loro.
Nell’emisfero sinistro gli sostituiamo la capacità di misurare l’armonia e la disarmonia inserendogli dei parametri di misura che non hanno niente a che vedere con i parametri naturali: per esempio, gli possiamo dire che una sedia è un’armonia senza fine e all’ultimo, per condizionamento, potrebbe dire anche lui che quella sedia è la cosa più armonica che esiste, ma vedremmo nei suoi occhi che “no vibra”.
Però lo direbbe e lo difenderebbe, perché gli è stato creato quel condizionamento!
E’ necessario conoscere molto bene questi processi, altrimenti non si comprende perché il bambino crescendo entra in conflitto con sé stesso e con l’ambiente e perché certi comportamenti apparentemente asociali non sono altro che la difesa continua e costante da tutto ciò che lo disarmonizza.
Le manifestazioni delle condotte aggressive possono essere molteplici, ma al di là di ogni classificazione tali condotte hanno un’unica radice: la conflittualità fra la ricerca di armonia da parte del bambino e quello che ha dovuto subire come disarmonia per condizionamento.
Questo conflitto lo porta inevitabilmente a comportamenti caotici e, anche se lui non ne è cosciente, il suo cervello sa perché agisce in quel determinato modo.
Chi non lo sa, di solito, è chi gli sta attorno.
Occorrono dunque profonde conoscenze per comprendere cosa muove un comportamento umano, soprattutto di un bambino che non parla, e che se parla non vi dice quello che sente, ma dice cose che lui vorrebbe chiarite, ponendole magari come domande o come risposte anche provocatorie.
La comprensione delle origini di un comportamento permette di capire come bisogna agire per affrontare l’aggressività sia negli adulti che nei bambini, poiché i meccanismi sono identici: gli adulti sono quei bambini che già manifestavano certi problemi e che fisicamente sono diventati adulti, mentre nei loro comportamenti hanno mantenuto ciò che non hanno mai potuto modificare perché l’ambiente e le esperienze non glielo hanno consentito.
Nel momento in cui ci avviciniamo ai bambini senza rispettarli nella loro possibilità e capacità di riconoscere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, nel momento in cui vogliamo imporre come giusto qualcosa che loro sentono sbagliato, noi li stiamo violentando, li stiamo condizionando a dissociarsi dalla loro armonia, dalla loro anima, dalla loro capacità di riconoscere l’armonia e la disarmonia.
E nel momento in cui siamo riusciti a farli adattare ai nostri modelli mentali, ai nostri comportamenti, alle nostre regole … in quel momento hanno perso la loro capacità di sapere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e misureranno il giusto in funzione di ciò che noi abbiamo “inserito” nel loro cervello come parametro di giusto.
Chi si ribella e riesce a mantenere la sua ribellione alle ingiustizie che gli arrivano addosso, è chi in qualche modo segnala qualcosa che non va, mette in discussione ciò che in apparenza sembra perfetto e ci permette di capire e modificare gli atteggiamenti e i comportamenti che creano tali ingiustizie.
Pertanto i bambini che si ribellano e sono aggressivi ci permettono di imparare moltissimo: i veri professori del nostro comportamento diventano proprio loro e studiarli (senza “combatterli” a priori), comprenderli ed aiutarli a risolvere i loro problemi permette a noi di crescere e capire noi stessi, ci permette di capire cos’è che abbiamo subìto e che ci ha modificati al punto tale da non riuscire più a sintonizzarci con la loro “fisiologia”, ci permette di cercare di migliorare noi stessi nella nostra capacità di capire e amare i bambini.
Il cervello è un sistema dinamico integrato e i due emisferi cerebrali fisiologicamente lavorerebbero in perfetto accordo.
All’emisfero sinistro possiamo fornire il linguaggio verbale, i codici matematici, i simboli, i metodi, le tecniche, possiamo fornirgli tutta l’istruzione necessaria a condizione di mantenerla collegata con l’anima del bambino, con quella “coscienza” che alla nascita obbedisce alla Natura e alle sue leggi.
Il bambino man mano che cresce deve mantenersi legato alle leggi di Natura, ovvero alla capacità di riconoscere ciò che è armonico o disarmonico, e deve poter utilizzare tutti i codici che gli diamo senza alterare sé stesso: questa è la condizione in cui la coscienza del bambino si può esprimere, altrimenti è il cervello che risponde “automaticamente” alle varie informazioni in base a quello che noi gli abbiamo dato, in base a come lo abbiamo “programmato”.
Lo ripeto, perché è di fondamentale importanza: ogni volta che forziamo il bambino per costringerlo a fare ciò che diciamo noi, quello è il momento in cui lo stiamo alterando, lo stiamo condizionando, mentre dovremmo sempre favorirlo nella sua espressione serena, armonica, dovremmo stimolarlo a volere, a desiderare, senza forzarlo, senza costringerlo ad accettare ciò che noi vogliamo fargli fare.
Questa è l’educazione, quella che permette di “e – ducere” le potenzialità del bambino, e il nostro intervento su qualsiasi situazione di disagio dovrebbe sempre rispettare questo principio: avvicinarsi al bambino in maniera tale da farsi innanzitutto accettare come elemento positivo e solo quando ci avrà accettati potremo aiutarlo a venir fuori dalla sua situazione.
L’alternativa sarebbe usare un’energia “superiore” alla sua, ovvero la forza fisica, la punizione, ma quello è un metodo che condiziona, che lo ha danneggiato, che gli ha creato il cosiddetto disagio, e continuare ad attuare tali sistemi sicuramente non è la strada che proponiamo noi perché ha già rovinato il mondo, non c’è bisogno di continuare a farlo.
La strada che proponiamo è quella di acquisire una conoscenza che ci permette, in ultima analisi, di amare: amare la verità, amare noi stessi, amare l’armonia, amare gli altri attraverso una conoscenza che ci consente di capire anche “le ragioni degli altri” e creare una cooperazione armonica.
Comprensione delle condotte aggressive e loro superamento
Abbiamo detto che il cervello cresce sulla base di tutte le stimolazioni che gli vengono date, e il concetto di crescita dovrebbe essere strettamente correlato al rispetto dell’anima del bambino, quell’anima che è l’armonizzazione delle oscillazioni di tutti quei neuroni che hanno in loro la capacità di riconoscere le informazioni provenienti dall’esterno.
E considerando tutto ciò che il cervello del bambino subisce come imposizioni, limitazioni, obblighi, possiamo renderci conto di cosa significa “crescere” per quel bambino.
Cosa cresce in lui?
Modelli ripetitivi, regole fini a sé stesse, obiettivi e bisogni indotti, codici artificiali, alterazioni e deformazioni di vario genere, informazioni caotiche: è con questo che “bombardiamo” il suo cervello e mettiamo le basi del suo futuro, della sua personalità …
Ecco dove risiedono le cause prime del disagio, dei comportamenti asociali, delle condotte aggressive, delle devianze.
La società ci dà dei modelli e sulla base di quelli misuriamo la realtà, misuriamo le persone, ma questa è una aberrazione perché le persone non sono quello che dice questa società con i suoi modelli!
L’essere umano alla nascita è qualcosa di immenso e non ha alcuna colpa di subire tutto ciò che subisce, quindi la prima cosa da fare è eliminare la colpevolizzazione: infatti ciò che nessuno accetta è la colpevolizzazione, perché ognuno di noi dentro di sé sa di non avere colpe.
La colpevolizzazione è la negazione totale della verità dell’essere umano, anche di chi sta commettendo un reato: quella persona andrebbe rieducata ed educata senza colpevolizzarla, dandole coscienza e consapevolezza dei suoi comportamenti, di come può soddisfare i suoi bisogni interiori di giustizia attraverso altre vie che non siano quelle della violazione delle leggi dello Stato e della Natura.
Immaginate quali alterazioni si vengono a determinare nel cervello di un essere umano che arriva a commettere i crimini più efferati, alterazioni prodotte da tutte le violenze perpetrate su quel cervello che alla fine non può far altro che esprimere ciò che ha subìto, a meno che esperienze o situazioni vissute gli abbiano permesso di correggersi.
Ecco perché nelle interazioni con gli altri, soprattutto con i bambini e con i ragazzi, è importantissimo esprimere sempre quello che sentiamo giusto senza colpevolizzare, perché solo in questo modo si può indurre riflessione.
Non dobbiamo intervenire soltanto quando i bambini e i ragazzi “si comportano male” o compiono atti asociali, dobbiamo intervenire a monte, preventivamente, per stimolare e verificare la loro capacità di riconoscere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato: questa è la fase educativa, la fase arricchente del dialogo e dello scambio.
Spesso li riempiamo di regole e nozioni fini a sé stesse e non li stimoliamo invece su tutto ciò che occorre all’essere per venir fuori con la propria capacità di esprimersi e relazionarsi alla realtà, alla “verità”.
E quando un bambino ha potuto sviluppare questa capacità nei primi 5 – 6 anni di vita non potrà deformarlo più nessuno, perché conserverà questa capacità e si ribellerà a qualsiasi tipo di imposizione.
In alcuni casi, la ridotta capacità di trovare delle soluzioni e di farsi capire fa s’ che il bambino, crescendo, paghi spesso un prezzo alto all’interno di questa società che, magari, arriverà a considerarlo persino “psicotico”.
Ci sono persone che nelle loro cosiddette “crisi psicotiche” elencano tutti i comportamenti patologici, menefreghisti, egoisti, arroganti, presuntuosi, ignoranti, privi di rispetto che rilevano intorno a loro, denunciano situazioni drammaticamente vere, e hanno dentro una sofferenze immensa che, a volte, le porta a non voler vivere in questo mondo.
Qualsiasi disagio, ribellione, chiusura – per poterci relazionare dobbiamo parlare un linguaggio che entri in sintonia con l’anima che pulsa in quel cervello, dobbiamo far capire alla persona che occorre trovare dentro di sé la propria serenità, senza farsi influenzare così fortemente dalle patologie che rileva nell’ambiente.
Per cui, quando ci troviamo davanti queste persone cosiddette “difficili”, bambini o adulti che siano, dobbiamo innanzitutto confermare ciò che vedono oggettivamente e obiettivamente, perché nella maggior parte dei casi notano tutte le disarmonie che molti ormai non notano più solo perché sono stati condizionati a non notarle.
E’dunque necessario dare coscienza del perché si sviluppano chiusure, aggressività, disagi, altrimenti le difese che sono pronte dentro al nostro cervello si scatenano, sia contro tutto ciò che è disarmonico, sia contro tutto ciò che purtroppo è entrato a far parte delle memorie dell’emisfero sinistro.
Riprendendo l’esempio che abbiamo fatto prima, se ho appreso che quella sedia è meravigliosa e qualcuno mi dice invece che è brutta, io mi arrabbio e attacco perché scatta automaticamente un meccanismo di difesa che sviluppiamo nel cervello.
Per comprendere ed intervenire sulle condotte aggressive è dunque necessario cercare di capire innanzitutto le cause che hanno messo il bambino in condizione di agire in quel determinato modo, tenendo presente che qualsiasi intervento che non si fondi sulla coscienza e conoscenza di questi processi rischia di peggiorare la situazione.
Le persone che tendono a dare giudizi facilmente, ad esempio, è bene che si astengano dall’intervenire, perché una parola sbagliata amplifica e può far precipitare una situazione già precaria, di disagio, mentre una parola giusta apre la strada alla soluzione del problema.
Una “parola giusta” è una parola in grado di modulare le azioni degli altri, e la modulazione delle azioni degli altri deriva da quanto noi siamo in grado di aiutare l’Io, la coscienza, l’anima della persona ad intervenire su quello che accade all’interno del proprio cervello: in altri termini, il nostro aiuto deve sempre rispettare l’Io della persona, l’anima della persona, e renderla partecipe dell’aiuto che le diamo per agire sul proprio cervello.
Tutto parte dal rispetto: se rispettiamo la persona entriamo in contatto con il suo Io, ovvero con quelle aree cerebrali in cui l’Io è ancora presente.
L’Io è sempre presente nel nostro cervello, ma non agisce quasi mai perché non viene richiamato, coinvolto.
Quando io obbligo una persona a ripetere le cose, perché l’Io dovrebbe intervenire?
Non deve decidere, non deve cerare una risposta giusta, non deve misurare ciò che gli arriva: il cervello trova già in memoria le risposte pronte e l’Io viene totalmente escluso.
Quando pretendiamo la ripetitività di comportamenti e azioni già stabiliti, modellati e codificati da questa società, l’Io della persona, la sua anima non ha più alcuna funzione: basta comportarsi secondo gli schemi, i modelli, i programmi stabiliti per essere “perfetti” socialmente, ma a quel punto la persona “non esiste”, perché la persona esiste in quanto ha la possibilità di essere creativa, di misurare le informazioni che le arrivano, di progettare una risposta e darla nella maniera migliore.
Quando questa possibilità ci viene tolta sin da piccoli, nel cervello si sviluppa il caos, ovvero un assemblaggio di pensieri e relativi comportamenti non scelti e quindi non gestibili dalla persona.
Una scuola frutto di questa società tende inevitabilmente a valorizzare i bambini “addomesticati”, i bambini che rispondono perfettamente ai ruoli, ai modelli, alle nozioni, i bambini “bravi”.
Attenzione perché nella maggior parte dei casi quei bambini sono dei piccoli “robot”, il loro Io è separato, è dissociato dal loro comportamento e dalla loro vita, l’anima non impara più nulla da quel cervello.
Per avere la certezza che non stiamo sprecando la nostra vita dovremmo attimo per attimo sapere che stiamo acquisendo qualcosa, che stiamo facendo qualcosa di utile e di valido, qualcosa che modifica una situazione non giusta intorno a noi: questo ci motiva nella nostra vita, nella nostra crescita, e potremmo considerarlo un “test” per misurare quanto la nostra vita ha un senso.
Il metodo per de colpevolizzare e favorire l’espressione dell’Io cosciente
I bambini dovrebbero poter sempre sentirsi partecipi e felici di tutto ciò che vogliamo insegnare loro.
D’altronde è ovvio: se i bambini ricevono qualcosa che risponde alle loro ricerche e al loro bisogno di crescere, non possono che esserne felici.
Mentre, quando rifiutano qualcosa, dobbiamo chiederci perché la rifiutano: spesso ciò avviene per paura, e le paure “uccidono”, generano una situazione di blocco dell’apprendimento, creano agitazione, tachicardia, soffocamento, possono portare perfino agli attacchi di panico.
Ricordate che l’aggressività –come qualsiasi altra espressione di disagio e di difficoltà –non può e non deve essere colpevolizzata, ma sempre de colpevolizzata.
Va precisato, però, che la dobbiamo de colpevolizzare innanzitutto dentro di noi, non può essere un modello, una forma, una teoria e basta.
Decolpevolizzare l’aggressività significa cercare di capire le ragioni per cui quella persona si comporta in un dato modo.
Teniamo presente che il cervello è disponibile a qualsiasi tipo di informazione che lo rispetta e che lo ama,che lo favorisce nel recupero, nel superamento della crisi, del disagio.
A nessuno e per nessun motivo può essere negato il diritto di essere rispettato come entità umana, come essere che ha già in sé alla nascita la potenzialità di sviluppare genialità e saggezza.
Tutti gli esseri umani sono dotati delle stesse potenzialità, ma la loro espressione dipende dal tipo di condizionamenti subìti nel corso dello sviluppo.
Di fatto, dietro ad ogni comportamento problematico c’è la violazione del diritto che ogni persona ha di realizzare una vita armonica e serena, cercando di sviluppare l’autostima e la capacità di autogestirsi e progettare la propria vita all’internodi un habitat.
Riassumendo, la conoscenza dei meccanismi del cervello umano e di cosa significa rispetto della persona e della dignità umana in termini concreti e non astratti, permette di essere positivi e utili in questa società al di là del ruolo che si svolge, migliorando la qualità della vita senza cadere nelle trappole di interazione conflittuale patologica.
L’aggressività è una forma di difesa che poi si tramuta in “offesa”.
A volte si aggredisce perché si ha una carica interna, una tensione interna generata da situazioni disarmoniche, ingiuste, “non fisiologiche”, e se pensiamo al modo in cui spesso ci si rivolge alle persone, compresi i bambini, possiamo capire quali “accumuli” si formano all’interno dei cervelli.
La causa è sempre l’ingiustizia, la violazione dei diritti fondamentali dell’essere umano, ecco perché dico che dietro ad un carnefice c’è sempre una vittima.
Dietro al carnefice c’è stata prima una vittima e se non ne teniamo conto non potremo attuare interventi positivi e rendere giustizia a tutte le parti in causa.
E’ ovvio che un’azione che “offende” gli altri è sempre sbagliata, negativa, ma questo non legittima adare colpe a chi la compie: nostro obiettivo dovrebbe essere la “rieducazione”, tenendo presente che la rieducazione deve passare per la de colpevolizzazione.
Rieducare la persona – bambino o adulto che sia – significa dargli coscienza di ciò che ha commesso senza mai penalizzare la sua dignità, la sua anima, perché l’anima della persona è già vittima di una situazione che ha subìto fin dalla nascita e non accetterà mai la colpa: accetterà un modo migliore di vivere, accetterà che gli si renda giustizia, che gli si riconosca prima il torto subìto e poi riconoscerà il torto che ha fatto subire.
La vendetta, ad esempio, non è il desiderio di eliminare gli altri, è il desiderio di ritrovare un equilibrio all’interno del proprio cervello.
Nel momento in cui qualcuno compie un atto di ingiustizia su di me, a me rimane un circuito neuronale attivo in squilibrio che mi spinge a risolvere il problema: o trovo una motivazione per “accettare” quell’ingiustizia, o istintivamente sono portato a rifare esattamente ciò che ho subìto.
Quindi se qualcuno mi fa capire il motivo per cui quella persona ha compiuto un’ingiustizia su di me, e quella spiegazione è la verità, io rimetto in equilibrio il mio cervello e supero il problema (ma deve essere la verità e non un aggiustamento, perché il cervello è in grado di riconoscere la verità, e tutti conserviamo un emisfero, il destro, sempre capace di riconoscerla).
Il conclusione, non colpevolizzare un comportamento significa innanzitutto non rispondere con una “controffensiva” o con una minaccia: la minaccia nasce quando ci si sente più forti o si ha un potere, invece bisognerebbe dimostrare che il nostro primo interesse è quello di aiutare la persona a rasserenarsi,a calmarsi, a ritrovare il rispetto di sé.
Occorrono molta decisione, fermezza e grande rispetto per la persona, qualsiasi cosa abbia fatto: questa è la chiave per intervenire in qualsiasi situazione problematica, poiché se rispettiamo la persona agiremo in maniera tale che essa si ritrovi e veda una via d’uscita al problema.
Questo discorso è valido ancora di più per i bambini. Se teniamo presente per un solo attimo quello che vi ho spiegato prima sulla “fisiologia” del bambino alla nascita, ci rendiamo conto di avere davanti un sistema armonico pronto a vibrare con noi: quel cervello è pronto a risuonare perché c’è un’anima che vibra, 14 miliardi di neuroni che vibrano e creano un campo di forze armonico e, se riusciamo ad armonizzare con quel bambino, ci arriva di ritorno una bellissima carica energetica, altro che il gattino che ci fa le fusa.
Il cervello del bambino è immenso rispetto a quello del gattino, però quasi tutti cercano il gattino e il cagnolino! Cercate di sintonizzarvi con un bambino, dateli tanta armonia e sentite che cosa vi ritorna come effetto!
E fatevi educare dal bambino, perché lui è pulito, lui sa riconoscere se siete armonici o disarmonici, chiedetegli “come mi vedi?”, “come mi senti?” e correggetevi man mano che vi misurate con lui … e il resto lo scoprirete da soli con le vostre emozioni, sensazioni e coscienza.