dna cervello coscienza consapevolezza educazione
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International Society of Neuropsychophysiology "Dal DNA il cervello, dal cervello la coscienza"
International Society of Neuropsychophysiology"Dal DNA il cervello, dal cervello la coscienza" 

 

NEUROPSICOFISIOLOGIA DELLA COPPIA *

 

 

 

Michele Trimarchi

 

 

 

Pubblicato su                   IL CERVELLO E L’INTEGRAZIONE DELLE SCIENZE                                      N. 39 – 1° semestre 2002

 

 

 

 

* Tratto dalle lezioni tenute al Corso di formazione su

Fondamenti di Psicologia della Coppia e Mediazione Familiare

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                             INDICE

 

                             Il valore della dignità

 

                             Il significato della vita

 

                             Lo sviluppo dell’Io Cosciente

 

                             Emisferi cerebrali e comportamento

 

                             Il superamento della colpevolizzazione

 

                                             Donna – Uomo: fisiologia delle differenze e valori comuni

 

                                             Conclusioni

 

 

 

 

 

IL VALORE DELLA DIGNITA’

          L’argomento che ci accingiamo a trattare è propedeutico alla risoluzione della conflittualità intrapersonale, interpersonale e di coppia.

       L’identificazione biologica, psicologica e spirituale della donna e dell’uomo rappresenta le fondamenta di un progetto iniziato miliardi di anni fa, la cui realizzazione cosciente è il cardine per dare vita ad una società capace di abolire la conflittualità generatrice di drammi e sofferenze.

 

 

 

 

                La donna e l’uomo non sono figli del caso ma sono due entità importantissime che devono comprendersi ed imparare a vivere la propria vita nel rispetto della propria e dell’altrui dignità.

 

 

 

 

           Il presupposto fondamentale da cui occorre partire – che è poi il concetto ispiratore dell’attività clinica, formativa e di ricerca svolta dal CEU (Centro studi per l’Evoluzione Umana) e dal BCH (Brain Health Centre) – è il rispetto delle pari dignità.

 

 

 

 

          Si parla molto del rispetto della dignità, proclamata già nell’articolo 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, ma cosa sia concretamente pochi lo sanno.

 

 

 

 

                La dignità costituisce il valore stesso della vita e dura tutto l’arco dell’esistenza, indipendentemente dal comportamento: solo per il fatto di esistere biologicamente, l’essere umano ha in sé la dignità.

           All’interno della Dichiarazione Universale del Diritti dell’Uomo viene riconosciuta pari dignità a tutti gli uomini e donne della Terra, e la dignità umana – da non confondere, lo ripeto, con la dignità sociale – non può e non deve mai essere messa in discussione da nessuno, ma deve essere amata e rispettata.

 

 

 

 

           Comprendere, rispettare ed esprimere la propria dignità è già un concetto talmente rivoluzionario da cambiare totalmente le sorti dell’intera umanità, dei sistemi politici, educativi, giudiziari, le sorti della vita sul Pianeta Terra: capire profondamente la dignità dell’uomo, viverla in coscienza per poi rispettarla negli altri è la base per iniziare a risolvere i problemi che continuano a moltiplicarsi a vari livelli senza risparmiare nessuno.

 

 

 

 

                  Per noi la dignità non è un principio astratto ma è un valore concreto che nasce a livello genetico e cromosomico all’interno dell’individuo.

 

 

 

 

                Che senso ha esistere sul Pianeta Terra senza la coscienza della dignità come valore assoluto della propria esistenza?

 

 

 

 

                    Nessuno è “colpevole” se finora è mancata tale coscienza, l’importante è partire da questo istante riconoscendo tutto ciò che sentiamo giusto dentro di noi, iniziando a viverlo e sperimentarlo: questo già ci motiva nella nostra esistenza quotidiana indipendentemente dall’età, dalle situazioni e dai momenti contingenti.

 

 

 

 

                     Le chiavi per comprendere questi principi le abbiamo scoperte all’interno del cervello: i valori della dignità, della libertà, della giustizia, dell’amore sono scritti nelle strutture cerebrali umane ed è lì che negli anni Ottanta siamo andati a “cercarli”.

 

 

 

 

             Da allora stiamo collaborando con organismi internazionali e istituzioni nazionali per offrire strumenti soprattutto a coloro che svolgono funzioni pubbliche, che hanno la responsabilità dell’educazione, della giustizia, della sanità, della politica dei Paesi, in sintesi alle istituzioni che hanno la responsabilità di rispettare la dignità e di mettere in condizione ogni essere umano di viverla e rispettarla.

 

 

 

 

                  Restringiamo il campo e arriviamo alla tematica della psicologia della coppia e mediazione familiare.

Come si può parlare di mediazione familiare e psicologia della coppia senza avere coscienza della dignità umana?

 

 

 

 

                   Come si può mediare un conflitto che si genera tra un uomo e una donna o tra genitori e figli senza avere acquisito la capacità di rispettare la sovranità della dignità della persona?

 

 

 

 

             Ogni parola del mediatore deve poter nascere da questo rispetto, quindi occorre capire profondamente come le nostre parole e le nostre azioni possano rispettare oppure offendere la dignità della persona.

 

 

 

 

 

 

IL SIGNIFICATO DELLA VITA

                 Per poter trattare la psicologia della coppia occorre innanzitutto considerare l’individuo, donna e uomo, e mettere in luce su quali basi i due hanno la possibilità di diventare “coppia” conservando istante per istante la propria dignità all’interno della coppia stessa.

 

 

 

 

                   Il rapporto di coppia parte da due esseri che dovrebbero avere piena coscienza e consapevolezza di sé e di quale sia il senso dell’esistenza di un essere umano: ognuno dovrebbe sapere perché nasce e perché muore, e cosa significa trascorrere l’arco di tempo che abbiamo a disposizione per vivere in questa dimensione umana.

                   Questo arco di tempo è rappresentato da una curva (vedi figura) che ha una fase ascendente di crescita, di sviluppo, di potenziamento della nostra fisicità, di massima espressione di potenzialità fisiche, una fase di transizione e una fase discendente che termina con la morte del corpo.

 

 

 

 

 

                     

             Ma a cosa serve nascere se dobbiamo morire?

                     

             Su questa domanda, che l’uomo si pone da millenni, c’è da riflettere molto profondamente.

 

 

 

 

               Vivere, “lottare”, scoprire e conservare la propria dignità per poi perdere e vanificare tutto con la morte sembrerebbe la cosa più assurda che possa esistere nella logica dell’Universo.

                Quindi dobbiamo pensare o che esiste un Dio che agisce in modo assurdo, oppure che siamo noi a dover ampliare la nostra conoscenza, e se diamo per certo che Dio è intelligente e ama, cercheremo innanzitutto di capire perché nasciamo e moriamo e che senso ha vivere.

 

 

 

 

                 Questi concetti non hanno nulla di astratto, ma sono alla base della scienza della vita.

 

 

 

 

                  Sin dal concepimento il nostro essere biologico è programmato in tutte le sue fasi fino alla morte del corpo, quindi la morte non nega la vita, ma si contrappone alla nascita.

 

 

 

 

                  Allora qual è il senso della vita?

 

 

 

 

 

 

                   La vita non è soggetta alla nascita in quanto preesiste alla nostra nascita biologica: l’importante per ogni essere umano è comprendere il proprio ruolo all’interno della vita poiché tutto l’Universo è vita, e la nostra nascita è una possibilità per noi di prendere coscienza e partecipare alla vita dell’Universo.

 

 

 

 

                   La vita biologica ha lo scopo di far interagire il nostro cervello con tutte le forme di energia che, attraverso gli organi di senso, educano e sviluppano la coscienza dell’individuo rendendolo partecipe dell’ambiente in cui nasce e vive.

 

 

 

                      

                  Ogni nascita (e questo credo sia l’atto d’amore più bello che possa esistere) è un’occasione unica e irripetibile per dar vita ad un essere che può diventare osservatore e interprete dell’esistenza e, allo stesso tempo, creatore di vita, di amore e di armonia.

                   E’ solo l’ignoranza di tale progetto che ne impedisce e ne limita la realizzazione.

 

 

 

 

 

                  L’arco biologico infatti è ben programmato geneticamente affinché fin dai primi anni di vita possa formarsi l’Io che, intorno ai 10 – 12 anni, dovrebbe diventare padrone del proprio corpo e del proprio destino.

 

 

 

 

 

 

                  Questa coscienza che si sviluppa gradualmente dovrebbe nel tempo raggiungere la capacità creativa di sganciarsi dal proprio programma genetico – che, come abbiamo detto, scandisce il tempo biologico del corpo - per vivere la propria dimensione in un arricchimento continuo non più soggetto al decadimento della fase discendente del corpo (ciò è ben visibile nei cosiddetti “saggi”).

 

                   Per cui l’essere, una volta nato in coscienza, realizza gradualmente la propria immortalità diventando guida del proprio corpo e del proprio cervello.

 

 

 

 

 

                     In sintesi, la vita biologica (rappresentata nel grafico dalla curva) è finalizzata alla nascita di un Io Cosciente capace di superare il tempo e lo spazio – in base al principio fisico che nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma – e la retta nel grafico rappresenta proprio la nascita illimitata della coscienza.

 

 

 

 

 

 

LO SVILUPPO DELL’IO COSCIENTE

            La Neuropsicofisiologia del Comportamento ha messo in evidenza che il cervello è uno strumento perfettamente adatto a vivere la nostra dimensione umana poiché sottostà alle stesse leggi, fisiche e biologiche, che regolano la vita dell’intero ecosistema.

 

       E’ però necessario che sia guidato da un “proprietario” che ne comprenda innanzitutto le potenzialità e sappia poi utilizzarle nella percezione dello spazio, nell’ideazione, comprensione, identificazione di tutti gli stimoli – informazioni che gli giungono dall’ambiente, e nella progettualità delle proprie azioni e risposte sul piano fisico, mentale e spirituale.

 

 

 

 

 

 

            Possiamo dire che la maggior parte delle persone vive “patologicamente” poiché il cervello “fa tutto da solo”, come se fosse una macchina senza conducente: il conducente “dorme” perché nessuno lo sveglia, nessuno gli chiede niente.

 

 

 

 

                             

             Da quando nasciamo c’è sempre qualcuno che ci dice quello che dobbiamo o non dobbiamo fare, soprattutto in famiglia e a scuola, mentre nessuno chiede a quell’Io, a quel conducente, a quel proprietario del cervello: “Tu cosa pensi?”.

 

          Gli si danno le regole da seguire e a quelle deve conformarsi, altrimenti sarà punito.

 

          All’inizio si arrabbia, si ribella, cerca di opporsi a questa “violenza”, ma poi è costretto a fare quello che gli viene detto, spegnendo progressivamente le sue immense potenzialità creative e la sua possibilità di comprendere sé stesso e gli altri.

 

 

 

 

 

 

 

          Il cervello, dunque, è uno strumento meraviglioso quando la persona è messa in condizione fin dalle prime fasi di vita di gestirlo e guidarlo, in caso contrario può arrivare a commettere persino atrocità senza averne colpa.

 

          In assenza del conducente, infatti, c’è sempre qualcuno o qualcosa che tende a pilotare il cervello, che può indurlo a produrre comportamenti “sbagliati”, o meglio strumentali a risolvere momentaneamente i propri conflitti cerebrali, ma non consoni alle regole, ai modelli, agli schemi di riferimento che la società si è data e quindi trasgressivi alle leggi (sociali, morali, civili e penali).

 

 

 

 

 

 

        La persona non ha colpa poiché in questo caso il suo cervello agisce con automatismi regolati da leggi fisiche, chimiche e biologiche finalizzate alla risoluzione dei conflitti che si generano all’interno delle strutture cerebrali nel loro rapporto con l’ambiente.

 

 

 

 

         E’ proprio la conoscenza di tali leggi e di come il cervello produce il comportamento che permette di prevenire le varie devianze e patologie e di mettere la persona in condizione di vivere consapevolmente, guidando e utilizzando il proprio cervello.

             Ecco perché per poter entrare nella psicologia della coppia occorre partire dalla psicologia dell’individuo, donna e uomo.

 

 

 

 

 

 

            La dignità dell’individuo nasce all’interno del progetto cromosomico; la ricerca di libertà è un processo di acquisizione dello spazio man mano che procede lo sviluppo; il concetto di giustizia è collegato a una pulsione che ci spinge a cercare ciò che è giusto per risolvere i nostri conflitti con l’ambiente; la ricerca del piacere e dell’amore è il motore della vita.

 

 

 

 

 

 

         La conoscenza di queste pulsioni, di queste “leggi”, è alla base di una educazione che permetta, fin dai primi anni di vita, di far esprimere le potenzialità della persona mettendola in condizione di decidere con coscienza e consapevolezza le proprie azioni.

 

 

 

 

 

 

         Questa capacità di decidere, purtroppo, è assente nella maggior parte delle persone perché generalmente non viene stimolata e non vengono forniti gli strumenti per “misurare” sé stessi, le proprie azioni, i propri convincimenti e la realtà dell’ambiente.

 

 

 

 

 

 

        Prima di addentrarci nella tematica della mediazione e della risoluzione dei conflitti è quindi necessario porre le basi metodologiche di una riflessione innanzitutto personale: ciascun operatore deve acquisire gli strumenti per capire innanzitutto sé stesso e risolvere già in sé i problemi, per poi operare una mediazione proficua in situazioni “fallimentari”.

 

 

 

 

 

                         

         Qualunque tipo di tecnica di mediazione non deve essere appresa fine a sé stessa, ma deve diventare un utile strumento per una coscienza operativa: deve essere sempre l’Io della persona che valuta, agisce e decide di usare le varie tecniche apprese adattandole ai diversi casi e situazioni.

 

             Internet ne è un valido esempio: abbiamo creato questa potente rete di

comunicazione, con grandissime potenzialità, e al tempo stesso è emersa la “malattia da Internet” e l’ansia di stabilire contatti umani al di fuori di uno schermo e una tastiera.

 

          Questo perché gli esseri umani non crescono stando davanti a un computer neanche se si mettono in collegamento con tutto il mondo, a meno che non siano padroni del proprio cervello, ovvero abbiano coscienza e consapevolezza dell’utilità di ciò che ricercano all’interno di una finalità utile alla propria evoluzione.

 

              Quindi dobbiamo prima diventare padroni del nostro cervello e poi possiamo fare tutto ciò che vogliamo, però dobbiamo decidere di fare una data cosa con la chiarezza della sua utilità e degli obiettivi da raggiungere.

 

 

 

 

 

 

             Non si può continuare ad agire in base al piacere che “le cose” procurano e portarle avanti finché tale piacere non si esaurisce, perché questo modo di fare conduce alla “morte” spirituale.

 

 

 

 

 

              Non dobbiamo dimenticare che ogni essere umano ha spirito, mente e corpo e questi tre aspetti dovrebbero sempre risuonare insieme all’interno della persona.

 

                 E non possiamo attuare nessun intervento di mediazione familiare se non ne teniamo conto.

 

 

 

 

 

 

 

EMISFERI CEREBRALI E COMPORTAMENTO

        Una delle “trappole” in cui cadiamo nella comunicazione è quella di dare troppa importanza alle parole che ci vengono dette, mentre dovremmo fare molta attenzione anche al metalinguaggio: l’espressione del viso e degli occhi, ad esempio, può essere molto più significativa delle parole che si dicono, poiché le parole possono essere “costruite” dal solo emisfero sinistro e possono non corrispondere alla verità di ciò che pensiamo e viviamo, mentre l’espressione del viso rispecchia quella verità, non può mentire, e se proviamo a fingere o camuffarla l’emisfero destro lo percepisce.

 

 

 

 

 

 

 

        Conoscere come funziona il nostro cervello e le differenti caratteristiche dei due emisferi cerebrali ci permette quindi di conoscere noi stessi, relazionarci

costruttivamente con l’ambiente e acquisire la capacità di risolvere i problemi sia dal punto di vista personale che professionale.

 

 

 

 

 

 

        Abbiamo l’intelligenza per capire che non può essere casuale il fatto che esistano due emisferi cerebrali, e se ci si interroga per scoprirne il perché si trovano risposte di fondamentale importanza per comprendere le ragioni dell’esistenza umana.

 

 

 

 

 

 

        Dal punto di vista neuropsicofisiologico, la risposta è che con un solo emisfero saremmo stati oggetto di un programma genetico e mai avremmo potuto sviluppare una concreta capacità di intendere e di volere, poiché questa scaturisce dall’attività contestuale, sinergica, dei due lobi frontali destro e sinistro: è lì che risiedono la capacità di sintesi, di previsione, la progettualità, la capacità di rielaborare le informazioni, ed è lì che nasce l’Io Cosciente qualora l’ambiente, con i suoi stimoli, lo consenta.

 

 

 

 

 

 

          Ciò richiede una profonda conoscenza della fisiologia della percezione e di come i due emisferi codificano e decodificano le informazioni.

 

 

 

 

 

 

          E’ nell’emisfero sinistro che possiamo sviluppare il linguaggio verbale, i codici convenzionali, la razionalità di schemi, modelli, nozioni e la capacità di ripeterli; l’emisfero destro, invece, identifica le informazioni con il suo programma genetico sulla base del riconoscimento fisico delle informazioni stesse e non può essere ripetitivo, per cui non può trasferire agli altri modelli tecnologici, schemi di riferimento, nozioni in base al principio (che guida l’ES) per cui si ripete per avere un premio o per evitare una punizione.

 

 

 

 

 

 

 

          Possiamo dire che in questa fase evolutiva dell’umanità domina ancora l’emisfero sinistro (non solo perché gestisce la mano destra!) perché la società e i sistemi politici vengono dominati da regole e da leggi che necessitano di sanzioni attraverso le quali si premia o si punisce il comportamento umano, nell’errata convinzione che esso debba dipendere dalla gerarchia dei poteri che vige all’interno degli schemi e dei modelli, non dalla ricerca della verità o dalla consapevolezza che ogni individuo fin dalla nascita dovrebbe sviluppare per vivere nel pieno rispetto della propria identità . dignità.

 

 

 

 

 

 

             I due emisferi cerebrali, dunque, si completano: ciascuno svolge un “lavoro” in base alle proprie caratteristiche e insieme costituiscono lo strumento più prezioso che possa essere utilizzato dall’Io, ovvero dalla coscienza che la persona sviluppa e accresce nell’arco della propria esistenza.

 

 

 

 

 

 

                 Quotidianamente ci troviamo a dover fare infinite cose, da quelle ripetitive, per le quali è richiesto lo schema di riferimento memorizzato nell’emisfero sinistro, alle più complesse per le quali occorre il sinergismo tra i due emisferi: l’importante è tener presente che qualunque cosa facciamo dovremmo sempre rimanere noi stessi mantenendo un nostro livello di coscienza,di valutazione, di osservazione, di controllo e di gestione del campo.

 

 

 

 

 

 

            Se, ad esempio, dobbiamo fare qualcosa di “banale” perché serve, non dobbiamo diventare noi stessi quella cosa banale chiudendo tutto il resto del nostro cervello e della nostra immensità, ma dovremmo essere consapevoli di ciò che facciamo rimanendo sempre e comunque presenti alla nostra globalità ed unità.

 

              Purtroppo nella cultura attuale questo concetto di unità e globalità della persona è quasi del tutto assente.

 

 

 

 

 

 

 

           Continuiamo a divedere e tener separati i vari momenti che viviamo: il momento spirituale, materiale, mentale, tecnologico, di svago, di lavoro … ma l’uomo non può essere una “schizofrenia” continua!

 

 

 

 

 

 

 

        Sono purtroppo queste settorializzazioni che impediscono una comunicazione armonica e rispettosa fra gli esseri umani: se ad esempio mi venite a parlare mentre sto facendo una cosa in cui sono preso la mia reazione può essere persino violenta, mentre se venite in un altro momento la mia reazione sarà completamente diversa, ma voi come potete sapere in che stato mi trovo dentro al mio cervello quando venite a dirmi quella data cosa?

 

 

 

 

 

 

              Il problema non sussiste se io sono sempre presente a me stesso: in quel caso voi potete venire da me in qualsiasi momento e dirmi quello che volete, perché la mia risposta la decido io e non voi con la vostra richiesta, le vostre parole, la vostra provocazione.

 

 

 

 

 

 

              L’umanità è schiava delle provocazioni e sulla base delle provocazioni si scatenano problemi, chiusure, drammi nelle famiglie , nella coppia, ovunque … le persone si distruggono la vita solo per ignoranza.

 

            Così si arriva al paradosso di due persone che vorrebbero essere felici, comunicare serenamente e vivere insieme una vita, eppure finiscono per “odiarsi” solo perché non si comprendono e non sono in grado di decidere le proprie azioni e risposte.

 

           Questo accade poiché le provocazioni producono automaticamente delle reazioni chiudendo tutto l’essere alla sua dimensione più elevata.

 

 

 

 

 

 

 

        Come è possibile che una persona in un momento possa avere una grande trascendenza ed esprimere amore ed armonia, e l’attimo dopo possa diventare un cumulo di reazioni e comportamenti assolutamente antitetici a quelli precedenti?

 

             E’ possibile perché evidentemente quella persona non gestisce il proprio cervello, sé stessa, il proprio comportamento.

 

 

 

 

 

 

 

              E il mediatore deve poter acquisire innanzitutto su di sé la capacità di gestire il proprio cervello, per poi poter mediare rapporti altamente conflittuali indicando alle parti in causa un percorso costruttivo da seguire e fornendo loro gli strumenti necessari per cercare soluzioni ai diversi problemi, sempre e comunque nel pieno rispetto delle pari dignità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL SUPERAMENTO DELLA COLPEVOLIZZAZIONE

              Comunemente si ritiene che “per comunicare bisogna essere in due”, ovvero che occorre la volontà di comunicare da entrambe le parti.

 

        Da un punto di vista neuropsicofisiologico possiamo invece affermare che è sufficiente la volontà di una sola persona che sappia favorire nell’altro la ricerca di un dialogo costruttivo.

 

 

 

 

 

 

 

              La mediazione può essere condotta su due, quindici o cento persone se il mediatore ha rispetto per quelle persone e per la loro dignità e se la sua finalità è quella di riconoscere a ciascuno le proprie ragioni e integrarle poi in una “verità” che renda giustizia a tutti.

 

 

 

 

 

 

            La mediazione non può mai essere condotta dando ragione ad uno e torto all’altro.

 

         Lo ripeto, la verità rende giustizia a tutti: il mediatore deve in primo luogo verificare le cause che generano il conflitto (cause che risiedono in tutte le parti coinvolte nel conflitto stesso) e successivamente deve poter condurre ciascuno ad assumersi la responsabilità di ciò che non ha promosso per evitare il conflitto, poiché così come c’è compartecipazione nella creazione dei conflitti deve esserci compartecipazione anche nella loro soluzione.

 

 

 

 

 

 

              Alla base di ogni mediazione deve esserci la volontà di ricercare la serenità, l’armonia, la risoluzione dei problemi, e questa volontà si “accende” quando la persona scopre in sé il valore della propria dignità.

 

 

 

 

 

 

 

               Una persona che scopre in sé il valore della propria dignità passa da uno stato di sofferenza ad uno stato di grande serenità, si ritrova in sé, nella propria coscienza, e ritrovarsi è bellissimo poiché libera la persona da ogni forma di dipendenza che subdolamente si è infiltrata nel suo cervello dominandolo.

 

 

 

 

 

 

            “Non posso fare a meno di questo …”, “senza quello sto male …”: frasi o pensieri di questo tipo sono campanelli d’allarme che indicano pericolose forme di dipendenza, paragonabili a droghe che entrano nel cervello spesso in modo subdolo e condizionano le persone privandole della libertà.

 

 

 

 

 

 

             Ecco che torniamo alla necessità di imparare a gestire il proprio cervello: ciascuno di noi deve vigilare con molta attenzione sul mondo esterno ed “aprire la porta” a quelle informazioni che riteniamo utili e giuste per arricchire noi stessi, per crescere, per scambiare energia, per produrre sinergie, nella consapevolezza che la nostra felicità e libertà non

 

possono negare la felicità e la libertà degli altri, e che la giustizia valida per noi deve essere valida anche per gli altri.

 

 

 

 

 

 

       Questi principi sono basilari nello scambio con le persone e laddove non vengono applicati vuol dire che siamo fuori strada, che i nostri parametri sono sbagliati e vanno rivisti e riverificati: non è possibile rendere giustizia ad un elemento di un conflitto senza rendere giustizia contemporaneamente anche agli altri, se i valori e i parametri che utilizziamo sono universali.

 

 

 

 

 

 

          Quello che stiamo delineando è un “percorso fisiologico” tutto da realizzare, è un processo in evoluzione e come tale non colpevolizza nessuno e favorisce la presa di coscienza che porta verso la “felicità” di tutti.

 

 

 

 

 

 

           L’essere umano gode di ciò che lo arricchisce: prova una sensazione di benessere e libertà se ciò che gli comunichiamo è utile per la sua crescita e lo gratifica nella sua evoluzione, mentre soffre e si chiude quando si sente violentato dalle nostre informazioni, disconfermato, umiliato, quando non si sente rispettato.

 

 

 

 

 

 

           E’ vero che ci sono tanti condizionamenti nei cervelli, ma le persone non hanno colpa di avere i condizionamenti poiché li hanno subìti da una “società ignorante”.

 

        Per tale motivo non dobbiamo mai dare colpe se vogliamo comunicare con qualcuno, poiché nel momento in cui disconfermiamo o colpevolizziamo una persona, il suo cervello produce automaticamente una reazione di allarme, di difesa o di attacco a seconda del suo stile cognitivo, dei suoi condizionamenti e delle sue esperienze: può essere una reazione controllata, in cui la tensione viene scaricata all’interno, o una reazione incontrollata espressa alzando le mani, urlando, aggredendo verbalmente, fino ai casi estremi in cui si può arrivare persino ad uccidere.

 

 

 

 

 

 

 

            Quindi ogni nostra informazione deve tendere a far capire l’eventuale errore o limite senza mai colpevolizzare: questo è il principio di base della mediazione, della comunicazione, dello scambio nel rispetto della dignità della persona.

 

 

 

 

 

 

 

          Non possiamo offendere o colpevolizzare qualcuno che è “diverso” da noi, perché sostanzialmente non lo è: ha subìto condizionamenti diversi dai nostri, si esprime in maniera differente, si sperimenta e “sbaglia” diversamente da noi, ma i valori della dignità, dell’amore, della giustizia, della libertà sono universali e ognuno di noi li ha dentro e li difende, anche se inconsapevolmente, con il proprio comportamento.

 

 

 

 

 

 

 

          La donna e l’uomo nascono con l’anelito di libertà, di amore, di armonia, di vivere la propria esistenza arricchendo ogni giorno sé stessi, e favorire questo anelito (anziché soffocarlo come purtroppo quotidianamente avviene) è la condizione di base per iniziare a risolvere i problemi del mondo.

 

 

 

 

 

 

        Nel caso specifico della mediazione familiare dobbiamo tener conto che ogni persona ubbidisce agli stessi principi e reclama gli stessi diritti, gli stessi valori di base che ogni operatore deve conoscere molto bene, altrimenti rischia di scambiare i valori per parole, nozioni e condizionamenti che sono proprio alla base del conflitto.

DONNA – UOMO: FISIOLOGIA DELLE DIFFERENZE E VALORI COMUNI

        In tema di psicologia della coppia occorre considerare sia le differenze che esistono tra i due sessi sia i valori comuni, ovvero i diritti fondamentali della persona la cui universalità consiste proprio nel fatto che appartengono sia alla donna che all’uomo sotto ogni latitudine.

 

 

 

 

 

 

           Tali valori acquistano nella donna e nell’uomo un colore, un sapore, un odore, una vitalità, un’anima guidati dalle stesse pulsioni fisiologiche di base ma con modulazioni diverse, e queste differenze di espressione e di emozioni dovrebbero amplificarsi all’interno della coppia e dar luogo ad una sommatoria di energia atta a potenziare la donna e l’uomo nella fisiologia del rapporto e nella loro crescita evolutiva.

 

 

 

 

 

 

 

        Creare una coppia fra un uomo e una donna che hanno rispetto della propria dignità e che hanno la capacità di gestire sé stessi, significa creare un universo all’interno del quale ciascuno dei due si potenzierebbe nel proprio essere e divenire cosciente.

 

 

 

 

 

 

        La consapevolezza e coscienza della propria identità maschile e femminile permette di evitare anche tanti problemi di omosessualità.

 

      Vengono celebrate le giornate del cosiddetto “orgoglio gay” e si combattono battaglie sociali perché sia riconosciuto il diritto di essere omosessuali, confondendo spesso la fisiologia della sessualità con deviazioni comportamentali prodotte da condizionamenti.

 

 

 

 

 

 

       E’ il vissuto esperienziale che condiziona il comportamento, e il piacere è il motore del condizionamento stesso.

 

            La sessualità non sfugge a tali meccanismi.

 

 

 

 

 

 

         Pavlov riusciva a far salivare un cane al solo suono di un campanello dopo averlo condizionato, mentre fisiologicamente avrebbe dovuto essere il cibo ad attivare tale processo.

 

        Ebbene, ciò vale per tutti i processi fisiologici e biologici su cui poi costruiamo le nostre credenze e i nostri convincimenti.

 

 

 

 

 

 

 

         E’ sufficiente trovarsi a vivere forti situazioni emozionali, in particolari momenti in cui la persona non è in grado di riflettere, per formarsi idee sbagliate sulla propria identità, idee che si sviluppano proprio in base ai meccanismi di associazione evidenziati da Pavlov, creando poi confusione nel cervello e creando drammi e tragedie individuali e familiari.

 

       Inoltre, occorre tener conto che il condizionamento psichico influenza l’orchestrazione ormonale favorendo la produzione di ormoni maschili o femminili e indirizzando lo sviluppo ormonale stesso nella direzione del condizionamento subìto.

 

 

 

 

 

 

 

      Così come una persona non è Napoleone solo perché dice di esserlo, analogamente non è omosessuale solo perché il ragionamento dissociato dalla fisiologia del piacere produce convincimenti di identità in antitesi con la realtà obiettiva ed oggettiva: nel cervello, infatti, si possono instaurare tante forme di idee e convincimenti ben lontani dalla realtà, frutto di memorizzazioni condizionanti che finiscono per dominare la persona inducendola a credere e a “combattere” per portare avanti quei convincimenti.

 

 

 

 

 

 

       Il piacere non ha sesso e può essere prodotto con qualsiasi mezzo, anche artificiale, ma la produzione fisiologica del piacere, dell’armonia e dell’amore trova la sua massima espressione nell’attrazione e nel dialogo psicofisico e spirituale tra donna e uomo.

 

 

 

 

 

 

       Solo condizionamenti di varia natura possono limitare tale espressione, producendo surrogati di piacere, di armonia, di amore.

 

     E’ necessario dunque acquisire la capacità di gestire il proprio cervello attraverso l’identificazione obiettiva ed oggettiva dell’informazione, tenendo presente che ogni informazione astratta dovrebbe rappresentare la realtà, non discostarsi da essa o negarla.

 

 

 

 

 

 

        Il cervello purtroppo sa costruire molto bene, a livello astratto, delle apparenti realtà che sembrano realtà ma non lo sono affatto.

 

     Una persona può imparare a recitare, a fingere, a piangere e ridere a comando se pensa di trarne un vantaggio, ma la verità dov’è?

 

       Chi acquisisce questi strumenti non è affatto migliore o più avvantaggiato degli altri, ha solo degli “handicap” tremendi che lo danneggiano poiché gli impediscono di sentire in sé il valore della propria dignità.

 

 

 

 

 

 

           C’è chi ha bisogno di recitare per attrarre l’attenzione degli altri, ci sono madri che utilizzano il vittimismo per mantenere i figli “attaccati” a sé, ci sono uomini e donne che fanno carte false per avere vicino “compagni” che magari li sfruttano e basta … e tutto per la paura o il disagio di ritrovarsi da soli.

 

      Quando invece abbiamo coscienza di noi stessi non c’è più la paura della “solitudine”, perché quando stiamo da soli siamo liberi: liberi di spaziare con il nostro spirito, liberi di progettare e creare.

 

 

 

 

 

 

            Acquistare questo senso di coscienza di sé è la base di partenza per iniziare i nostri rapporti interpersonali, perché ci permette di scegliere, di scambiare e comunicare con gli altri.

 

 

 

 

 

 

 

           Il massimo di scambio e comunicazione dovrebbe avvenire tra un uomo e una donna all’interno di una coppia perché esistono fisiologicamente delle forze attrattive, fisiche, genetiche che li spingono l’uno verso l’altro: questa spinta è solo l’inizio di un processo che dovrebbe portare al potenziamento l’uno dell’altro, ad un continuo arricchimento sia della donna che dell’uomo.

 

 

 

 

 

 

 

       La donna e l’uomo, infatti, per le rispettive caratteristiche neuropsicofisiologiche, si integrano e si completano in base ad un principio di complementarietà che serve a formare una società “utile”, positiva, capace di affrontare e risolvere i problemi e promuovere evoluzione delle coscienze.

 

 

 

 

 

 

 

         Avere consapevolezza della propria identità biologica è il primo passo per una corretta gestione delle risorse energetiche e fisiologiche contenute nelle differenti potenzialità donna – uomo.

 

 

 

 

 

 

            Ci siamo mai chiesti perché il bambino viene concepito all’interno della donna che poi lo porta avanti, lo fa nascere, e gli dedica particolari cure nella prima fase di vita?

 

             Perché proprio la donna e non l’uomo?

 

            Ci deve essere una ragione.

 

 

 

 

 

 

 

         Questo Progettista che ci ha dato vita ha le idee molto chiare, solo che noi dobbiamo scoprire e prendere coscienza di questo “progetto” di cui siamo parte integrante.

 

 

 

 

 

 

 

      Ci sono donne e uomini che vivono intensamente il loro rapporto d’amore, integrando gli aspetti psicofisici e spirituali: tali casi non lasciano dubbi sul valore delle differenze e spesso diventano un esempio del fine per cui la coppia esiste.

 

 

 

 

 

 

 

        Ma l’infelicità di molti tende a negare anche quei rari casi di gioia infinita, attribuendoli magari alla sorte o al caso anziché cercare di capire il “segreto” dell’armonia di quelle coppie, ed è chiaro che una scienza basata sul metodo statistico oppure il cosiddetto meccanismo democratico, dove la maggioranza risulta avere ragione e la minoranza torto, impediscono la ricerca della verità.

 

 

 

 

 

 

 

            La Natura non adotta il metodo statistico per produrre la vita, ma rende ogni essere umano unico e irripetibile, poiché le strutture cerebrali della donna e dell’uomo rispondono fisiologicamente agli stimoli ambientali che, nel loro dinamismo, consentono un arricchimento continuo della conoscenza di sé e dell’ambiente.

 

 

 

 

 

 

       Le differenze cerebrali fra donna e uomo fanno sì che anche nello sviluppo percettivo, cognitivo ed emozionale si conservi una diversità affinché l’interazione fra i due sessi produca evoluzione.

 

 

 

 

 

 

             L’invenzione della scrittura, che adopera segni convenzionali per rappresentare la realtà, ha dato vita ad una evoluzione artificiale e astratta che ha messo in crisi la fisiologia delle differenze.

 

          Infatti per apprendere ciò che è astratto e dissociato dalla realtà è necessario adottare il metodo del condizionamento di Pavlov, che produce inevitabilmente il vero e proprio condizionamento cerebrale che va a modificare la fisiologia della percezione e la conseguente risposta emozionale e comportamentale: lo stimolo convenzionale agisce sulle funzioni fisiologiche e ciò produce una dissociazione tra le funzioni programmate geneticamente e le funzioni che si attivano con il condizionamento.

 

 

 

 

 

 

 

              Com’è possibile pronunciare parole come dignità, libertà, giustizia, amore senza che tali parole attivino all’interno del cervello umano la genetica della dignità, della libertà, della giustizia e dell’amore?

 

 

 

 

 

 

         Ad ogni parola viene attribuito un significato, per cui è facile chiamare gli oggetti con il nome attribuito, ma è molto difficile richiamare con le parole le pulsioni genetiche della vita e le ragioni della vita stessa.

 

 

 

 

 

 

         Occorre dunque una scienza che spieghi la genetica della dignità, della libertà, della giustizia e dell’amore, affinché tali parole siano in grado di richiamare questi valori nella coscienza.

 

 

 

 

 

 

               I nostri studi hanno evidenziato l’invarianza genetica di tali valori, che risiedono all’interno del progetto cromosomico di ogni essere umano: con queste conoscenze abbiamo prodotto una metodologia multidisciplinare integrata in grado di far luce su tali antiche problematiche e soprattutto di dare validità scientifica ai fondamentali valori della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (già espressi, nell’arco della storia, nelle più elevate forme del pensiero umano sia nel campo della religione che della filosofia).

 

 

 

 

 

 

 

            Ciò che diversifica la donna e l’uomo, in sintesi, non sono i valori della dignità, della libertà, della giustizia e dell’amore, bensì la possibilità di una differente percezione della realtà che nel dialogo, nel confronto, nell’interazione produca evoluzione attraverso la ricerca di verità.

 

 

 

 

 

 

 

              La donna e l’uomo sono delle immensità, ma molto spesso vivono in uno stato di frustrazione e alienazione, si “prostituiscono” e soffocano la propria dignità per cose banalissime e assurde solo a causa di condizionamenti subìti.

 

 

 

 

 

 

 

              C’è da tremare nel vedere come il più grande dei tesori della Terra è venduto per due centesimi … e ognuno di noi è questo tesoro, questa immensità, però ne deve prendere coscienza.

 

         Tale presa di coscienza inizia nel momento in cui cominciamo a dire al bambino quale progetto porta dentro di sé, quale immensità si cela in lui, cosa lui può realizzare di importante, unico e irripetibile per migliorare il mondo e la società in cui vive, ma dobbiamo favorirlo e spingerlo ad esprimersi e a voler realizzare tutto questo!

 

 

 

 

 

 

 

           Ecco l’importanza di valorizzare l’individuo, donna e uomo, sin dalle prime fasi di vita, affinché abbia la chiarezza di come affrontare la vita, cosa ricercare nella vita e come poter comunicare.

 

 

 

 

 

 

           La chiave di tutto è proprio la comunicazione: senza un metodo per comunicare non c’è scambio né dialogo costruttivo, ma solo la pretesa di affermare la propria “ragione”.

 

          Nella maggior parte delle interazioni, infatti, quando sorge un conflitto ognuno vuole aver ragione, ognuno rimane ancorato al proprio punto di vista convinto di essere nel giusto.

 

             In più per una serie di meccanismi automatici del nostro cervello ci troviamo ad accusarci reciprocamente (ad es. “tu l’hai detto!”, “no, te lo inventi” …) alimentando polemiche sterili sulla base di parole dette in momenti di rabbia, sconforto, difficoltà.

 

 

 

 

 

 

 

           Questi sono purtroppo meccanismi tremendi del cervello che “costringono” la persona a difendere la propria posizione, la propria idea, le proprie convinzioni anche quando queste sono false, ovvero quando non hanno niente di oggettivo e obiettivo, ma sono semplicemente frutto di associazioni che scattano automaticamente nel cervello.

 

 

 

 

 

 

           Questi meccanismi possono essere superati solo dalla volontà di ricercare la verità: solo così possiamo oltrepassare le ragioni personali e trovare un giusto valido per ciascuna delle parti in causa, un giusto che integri le diverse posizioni, comprendendole e arricchendole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONCLUSIONI

      In sintesi, è necessario acquisire una grande capacità di mediazione attraverso conoscenze scientifiche che permettano la verifica oggettiva ed obiettiva delle informazioni che ci vengono date e degli scopi per cui ci vengono date.

 

         Se non si parte da questo non si può attuare una mediazione che renda giustizia alle varie parti in causa.

 

 

 

 

 

 

      La mediazione in qualunque tipo di conflitto è possibile solo iniziando a non colpevolizzare disconfermare nessuno.

 

 

 

 

 

 

 

               Il mediatore deve riconoscere alle parti in causa la pari dignità.

 

       Deve consentire a ciascuno l’espressione delle proprie ragioni e dei propri sentimenti.

 

       Deve richiamare in ciascuno le proprie responsabilità dandogli coscienza e consapevolezza del rispetto che ognuno deve avere innanzitutto per sé e di conseguenza per l’altro.

 

         Deve liberare le parti da dipendenze che limitano la libertà di espressione, considerando che le dipendenze indirizzano i ragionamenti e i comportamenti rendendoli antitetici al rispetto della propria e altrui dignità.

 

 

 

 

 

 

 

            Ognuno deve essere messo in grado di fare le proprie scelte e di non influenzare le scelte dell’altro, tenendo presente che la libera scelta è possibile qualora si abbia coscienza e consapevolezza delle proprie responsabilità verso i figli, verso sé stessi e verso gli altri.