dna cervello coscienza consapevolezza educazione
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International Society of Neuropsychophysiology "Dal DNA il cervello, dal cervello la coscienza"
International Society of Neuropsychophysiology"Dal DNA il cervello, dal cervello la coscienza" 

FONDAMENTI DI

NEUROPSICOMOTRICITÀ 

 

 

 

Prof. Michele Trimarchi

 

 

 

 

Pubblicato su       IL CERVELLO E L’INTEGRAZIONE DELLE SCIENZE

 

                                n. 44 – II SEMESTRE 2004 pagg. 17-34 A.D.E. C.E.U.

 

 

 

 

 

 

 

  Introduzione

              Obiettivo della Neuropsicomotricità è fornire un quadro integrato dell’essere umano per comprendere come dall’attività sinergica dei due emisferi cerebrali deve gradualmente svilupparsi un Io cosciente in grado di guidare pensiero e azione nel rispetto della fisiologia umana, e per individuare interventi riabilitativi con cui “educare” la persona (bambino o adulto) alla gestione consapevole del proprio cervello e del proprio comportamento.

 

 

 

 

 

 

               Il cervello è uno strumento meraviglioso “progettato” per far acquisire all’individuo conoscenza e coscienza di sé e dell’ambiente, e poter utilizzare lo spazio – tempo della propria esistenza per esprimersi creativamente e armonicamente partecipando all’evoluzione sociale, culturale e umana.

 

 

 

 

 

 

 

      Il bambino, alla nascita, è dotato di questo strumento dalle infinite potenzialità, e nel corso della crescita deve gradualmente formarsi il “pilota” in grado di guidarlo, ovvero l’Io cosciente capace di gestire tutte le funzioni del cervello.

 

 

 

 

 

 

 

     La Neuropsicomotricità per poter riabilitare una funzione lavora proprio sull’Io della persona anzi che sulle singole funzioni da rieducare, poiché è il “pilota” che deve guidare la funzione e non la funzione che deve essere ripristinata attraverso stimoli che non coinvolgono l’integrità dell’essere.

 

 

 

 

 

 

 

        l sistema nervoso è dotato di “meccanismi” perfetti e le sue risposte sono sempre strutturate e organizzate secondo principi e funzioni geneticamente programmate: questo ha permesso e permette ancora all’essere umano di esprimersi e di vivere a livello psicomotorio, cognitivo, relazionale ed emozionale senza il pilota del cervello, ovvero senza un Io che guidi istante per istante il cervello e decida azioni e comportamenti in base ad un criterio di “utilità evolutiva” per la persona.

 

 

 

 

 

 

 

      La nascita biologica deve essere propedeutica alla nascita della coscienza che con una corretta educazione dovrebbe svilupparsi già intorno ai 7 – 8 anni per continuare a crescere ed arricchirsi durante tutta la vita.

 

 

 

 

 

 

 

          Possiamo dire che la vera “nascita” avviene proprio quando prendiamo coscienza di avere a disposizione questo mezzo così potente che è il nostro cervello e impariamo ad usarlo nel migliore dei modi: purtroppo il caos in cui vive la maggior parte degli esseri umani testimonia che ancora manca la coscienza all’interno del cervello umano, altrimenti il mondo sarebbe tutt’altro da quello che stiamo vivendo a tutt’oggi, non assisteremmo al dilagare di psicopatologie, devianze di ogni genere, drammi e conflitti ad ogni età e ad ogni livello della vita sociale (per non parlare del grave e crescente inquinamento ed alterazione dell’ecosistema in cui viviamo).

 

 

 

 

 

 

 

 

      In assenza dell’Io cosciente ognuno agisce obbedendo ad un “padrone momentaneo” che si sviluppa all’interno del cervello in base alle memorie, ai modelli sociali e culturali, ai condizionamenti: sono questi che quando vengono evocati dominano il comportamento, impedendo l’espressione creativa e consapevole della persona che in tal modo si ritrova, suo malgrado, a dibattersi in conflitti, ansie, malesseri, sofferenze generati proprio dal caos e dalla conflittualità delle informazioni ricevute fin dai primi anni di vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’Io Cosciente e le funzioni cerebrali superiori

      E’ grandemente limitativo riabilitare un bambino in una funzione psicomotoria senza interpellare il pilota che risiede nel cervello, senza spiegargli cosa deve fare lui stesso dall’interno e metterlo in condizione di dare i comandi a quelle meravigliose cellule nervose ben collegate dentro alla corteccia cerebrale e tutte ben predisposte e pronte a gestire e coordinare ogni funzione psicomotoria.

 

 

 

 

 

 

 

       Il problema è che nella maggior parte dei casi il pilota è assente, non è ancora nato, e allora bisogna “rimediare” aderendo a una prassi ormai consolidata: dare stimoli sensibilizzanti nel tentativo di produrre una risposta per creare o ripristinare la funzione deficitaria.

 

    Queste tecniche di riabilitazione, anche quando ottengono risultati sul piano strettamente psicomotorio, di fatto non “rieducano” il bambino nelle sue funzioni poiché non gli insegnano a guidare volitivamente e consapevolmente il proprio corpo e le proprie potenzialità.

 

 

 

 

 

 

 

       Da ciò si evince quale “rivoluzione” dobbiamo operare per capire bene cosa significa riabilitare e cosa si deve sviluppare all’interno del cervello per rieducare non la singola funzione bensì la persona in toto affinché sia in grado di gestire il proprio cervello, il proprio corpo, il proprio comportamento.

 

 

 

 

 

 

 

       All’interno del cervello abbiamo i lobi frontali dei due emisferi cerebrali nei quali, durante la crescita, deve prendere forma ed instaurarsi il proprietario, l’Io Cosciente.

 

 

          L’Io Cosciente non è un’entità astratta, è una realtà concreta che deve gestire la funzione dei due emisferi nei quali c’è la centrale di comando del cervello e di tutto il corpo, in cui tutto arriva e da cui tutto parte, e la centrale di comando deve essere controllata ed utilizzata dall’Io per evitare che i suoi strumenti e le sue funzioni agiscano automaticamente.

 

 

 

 

 

 

 

        L’individuo (bambino o adulto) deve essere presente nel proprio cervello, deve essere cosciente di come funziona il proprio corpo e di come egli stesso può decidere in ogni istante il comando in qualsiasi parte del corpo: è l’individuo che deve poter comandare il proprio corpo e il proprio cervello, usando la propria intelligenza per programmare e realizzare le proprie azioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

        L’Io, il pilota, dovrebbe decidere tutto, fare i suoi progetti e realizzarli già a partire dai livelli più semplici.

 

          Se decidiamo di muovere un dito in un determinato modo, non possiamo farlo?

 

          Se decidiamo di urlare, non siamo capaci di urlare?

 

          Se decidiamo di stare zitti, non stiamo zitti?

 

          Se decidiamo di non rispondere ad una provocazione, non riusciamo a farlo?

 

          Se decidiamo di cambiare un’idea sbagliata, non la cambiamo?

 

 

 

 

 

 

 

      Siamo in grado di fare tutto, basta che lo pensiamo, lo progettiamo e poi lo eseguiamo quando e come vogliamo.

 

          Dobbiamo essere noi a decidere di noi stessi, non gli stimoli che ci arrivano dall’esterno.

 

          Ma chi ci ha mai insegnato che possiamo essere noi a decidere?

 

 

 

 

 

 

 

 

          Impariamo a camminare fin da piccoli e poi ci muoviamo secondo l’umore in cui ci troviamo: siamo depressi e non riusciamo più a muoverci, siamo in ansia e ci agitiamo troppo … ma noi dove siamo?

 

 

 

 

 

          Dov’è il pilota del cervello, il nostro Io?

 

 

 

 

 

 

        Una delle più gravi carenze della ricerca neuroscientifica è non aver fatto ancora chiarezza sul fine del cervello, ed è proprio su questo che si è concentrata la Neuropsicofisiologia: fine del cervello è dar vita ad un Io che deve diventarne proprietario assoluto per gestire e decidere della propria vita nel rispetto di sé e dell’ambiente umano e naturale.

 

 

 

 

 

 

 

       La Psicologia dell’età evolutiva ha dettagliato le varie fasi di sviluppo motorio, cognitivo, emozionale, sociale, ma cosa deve prioritariamente svilupparsi?

 

          Che senso ha, sostanzialmente, lo sviluppo delle varie competenze e funzioni se al tempo stesso non si sviluppa un Io in grado di gestirle?

 

 

 

 

 

 

 

       

    Il nostro programma genetico prevede il graduale sviluppo delle potenzialità e funzioni biologiche, sviluppo che in età puberale è già completo, tanto che a partire dalla pubertà l’individuo è anche in gradi di procreare, ha un corpo pronto ad esprimersi su tutti i piani.

 

      Ma di pari passo si sviluppano la consapevolezza e la coscienza di queste potenzialità e di queste funzioni?

 

          Quasi mai …

 

         

 

 

 

        Allo sviluppo biologico quasi mai corrisponde lo sviluppo della coscienza, poiché non prende forma e non cresce il proprietario del cervello, per cui l’esistenza delle persone viene di fatto gestita dalle esperienze, dalle interpretazioni che se ne ricavano e dalle memorie che rimangono impresse.

 

 

 

 

 

 

 

       Quindi l’Io non è dissociato dal cervello, ma si sviluppa al suo interno da una sorta di “energia bianca” che prende i colori man mano che interagisce con l’ambiente, e il primo colore, ovvero la prima capacità che deve sviluppare, è quella di scoprire e comandare il proprio corpo.

 

 

 

 

 

 

 

       Ogni attività del bambino nel primo periodo della vita è finalizzata proprio a scoprire il suo corpo e le sue funzioni, le sue potenzialità di cui deve prendere coscienza man mano che le sperimenta.

 

 

 

 

 

 

 

       Purtroppo oggi, nella maggior parte dei casi, il bambino è fortemente limitato in questa sua spinta fisiologica a scoprire e sperimentare le proprie potenzialità poiché l’ambiente che lo circonda è spesso caotico: si muove in un ambiente perlopiù artificiale, pieno di stimoli preconfezionati (dai cartoni animati ai giocattoli industriali) che non favoriscono le sue capacità sensoriali, percettive e ideative come invece fanno gli stimoli naturali, per non parlare delle disarmonie e delle tensioni che spesso assorbe dalla famiglia e che limitano il graduale sviluppo della sua sicurezza, autonomia e autostima.

 

 

 

 

 

 

 

 

          Un bambino vorrebbe sempre essere al centro dell’attenzione, non perché è “viziato” ma perché ne ha bisogno, è una spinta genetica con cui nasce: essere al centro dell’attenzione vuol dire ricevere dall’ambiente tutti i nutrienti di cui l’essere ha bisogno per svilupparsi e crescere, dagli stimoli sensoriali a quelli emozionali in un continuum senza separazioni.

 

 

 

 

 

 

 

          Il bambino ha bisogno di sentirsi importante per l’ambiente in cui vive, ha bisogno di sentirsi amato, rispettato e favorito nella sua spinta ad esplorare e sperimentarsi, ha bisogno che le sue figure di riferimento “parlino al suo Io”, a quell’energia immensa che è dentro di lui e che deve gradualmente assumere il comando del cervello per dar vita all’Io Cosciente.

 

 

 

 

 

 

 

          Questa società ha creato un sistema cosi detto educativo che di fatto condiziona e imprigiona il bambino in regole e modelli da assorbire senza neanche saperne il motivo sostanziale, ma un tale sistema “offende” la dignità e le potenzialità dell’essere umano.

 

 

 

 

 

 

 

          Il bambino è un progetto bellissimo, immenso, e il fine dell’educazione deve essere quello di promuoverne la piena realizzazione, favorendo il graduale sviluppo di un essere in grado di gestire il proprio cervello sviluppando coscienza e consapevolezza di sé come essere unico e irripetibile capace di creare ed esprimere armonia.

 

 

 

 

 

 

 

       La Neuropsicofisiologia (sulle cui basi si fonda la Neuropsicomotricità) ha dato validità scientifica a tali concetti, studiando il cervello umano per comprendere la genesi della coscienza, la genesi del comportamento e dei meccanismi per cui un essere è capace di uccidere per odio e al tempo stesso di amare e dare la vita per l’affermazione di valori universali.

 

          Da tali studi è emerso che la chiave per comprendere l’esistenza umana e lo scopo della vita stessa è proprio la nascita dell’Io Cosciente di ogni individuo, e l’educazione ha un ruolo insostituibile nel favorire o ritardare tale nascita.

 

 

 

 

 

 

 

          L’essere umano può diventare un “genio” o un “automa”, può esprimere saggezza o banalità, può creare armonia o caos, tutto dipende dalla qualità dell’educazione che riceve: in assenza di malattie genetiche o deficit organici, il bambino alla nascita ha tutte le potenzialità per sviluppare genialità e saggezza, ma se viene bloccato con ristrette regole educative, imposizioni, rimproveri umilianti, punizioni, tutto questo va a limitare fortemente l’espressione delle sue potenzialità.

 

 

 

 

 

 

 

       E’ invece necessario canalizzare la sua potente energia vitale in una direzione che gli permetta sempre di esprimersi, di esplorare e conoscere, di sperimentarsi, di sviluppare la sua creatività.

 

 

 

 

 

 

      Educare significa “educere”, tirar fuori, non condizionare; significa stimolare il bambino a venir fuori, ad osservare e verificare ciò che lo circonda, non dovrebbe apprendere nulla senza conoscerne il significato e l’utilità.

 

          Un bambino che impara a verificare tutto ciò che sperimenta, a comprenderlo nella sua reale utilità, scopre e prende gradualmente coscienza del mondo circostante e di sé stesso, e questa è una spinta genetica che si manifesta fin dalla nascita.

 

 

 

 

 

 

 

          Il bambino nasce “scienziato”, nasce con il desiderio di scoprire e conoscere, ma tale spinta viene bloccata e paralizzata dagli infiniti divieti ed imposizioni che, seppur in buona fede, gli vengono impartiti sin dalla più tenera età.

 

          Alcuni riescono a ribellarsi cercando comunque vie di espressione, anche pagando prezzi molto alti; altri si adattano e finché ci riescono diventano dei perfetti “modellini sociali”.

 

        Ma chi si adatta ai modelli sociali acriticamente, senza possibilità di scelta o di valutazione, non fa evolvere l’umanità, altrimenti l’umanità sarebbe già perfetta.

 

 

 

 

 

 

 

       L’essere umano non è un modello, ma una realtà dinamica, e il cervello ha bisogno continuamente di stimoli che lo alimentino, ha bisogno di evolversi, di andare avanti, di interagire costruttivamente con l’ambiente, e tutto l’ambiente – interno ed esterno – parte da una base fisica, poiché tutto è fisico.

 

 

 

 

 

 

 

          La parola è uno stimolo fisico, è energia, e non c’è nulla che non sia energia nel nostro Universo.

 

 

 

 

 

 

        Ogni forma di energia ci informa costantemente della propria presenza perché il nostro cervello è in grado di misurarla, e potrebbe misurarla fisiologicamente se non subisse condizionamenti che vanno a distorcere proprio i suoi strumenti di misura, esattamente come spiegato da Pavlov con i suoi esperimenti sul condizionamento classico: se ad uno stimolo fisiologico associamo uno stimolo condizionante, la risposta fisiologica sarà prodotta dallo stimolo condizionante anzi che da quello fisiologico, e questo è generalizzabile a tutto il comportamento umano, non solo al campanellino che provocava la salivazione del cane.

 

 

 

 

 

 

 

       A forza di sottoporre l’essere umano a stimoli condizionanti abbiamo separato la funzionalità dei suoi due emisferi cerebrali, destro e sinistro, abbiamo dissociato l’essere dal suo Io, quell’Io che dovrebbe usare entrambi gli emisferi per continuare a crescere in coscienza e conoscenza.

 

 

 

 

 

 

 

          E’ sempre questo il punto nodale: l’unitarietà dell’essere umano guidato dal proprio Io.

Platone parlava dell’Auriga che doveva guidare un cavallo bianco e un cavallo nero, la Neuropsicomotricità parla dell’Io che deve guidare l’emisfero destro e l’emisfero sinistro per sviluppare un comportamento utile alla propria ed altri evoluzione.

 

 

 

 

 

 

 

          E l’Io non spunta dal nulla né appare improvvisamente ad un certo punto dello sviluppo, ma deve essere messo in condizione di nascere da un’educazione che rispetti l’immensità del bambino e ne favorisca gradualmente l’identificazione.

 

 

 

 

 

 

 

          Il bambino deve potersi identificare in sé stesso e sviluppare una propria coscienza con la quale utilizzare al meglio il proprio corpo e il proprio cervello per creare tutto che decide di creare.

 

 

 

 

 

           Ma quando mai ci rivolgiamo all’Io del bambino?

 

           Quando gli chiediamo cosa senti, cosa pensi, cosa hai capito o non hai capito?

 

      Quando ci soffermiamo con il bambino per cercare di farlo venir fuori, di farlo esprimere sostanzialmente, di stimolarlo a creare progetti?

 

 

 

 

 

 

 

      La vita stessa deve essere un progetto da portare avanti, ma bisogna dirlo al bambino, altrimenti lo consideriamo di fatto “menomato”, lo consideriamo un contenitore da riempire con una massa di informazioni senza dare a lui la graduale possibilità di verificarle, selezionarle e scegliere quelle che solo utili alla sua crescita psicofisica e spirituale.

 

 

 

 

 

 

 

          La capacità di decidere della propria vita appartiene ad ogni essere umano: ciascuno di noi è potenzialmente in grado di decidere come comportarsi, se rispondere o tacere, se intervenire o lasciar correre, se accettare un compromesso o mantenere la propria posizione … possiamo decidere tutto se è il nostro Io a valutare le situazioni e a gestire il nostro cervello.

 

 

 

 

 

 

          Possiamo persino decidere di vivere felici, nessuno ce lo può vietare se non i nostri condizionamenti e le nostre memorie, ma i condizionamenti possiamo identificarli e trasformarli arricchendo così la nostra esperienza e conoscenza, e le memorie possiamo imparare ad archiviarle e utilizzarle solo quando ci servono.

 

 

 

 

 

 

 

          Le memorie risiedono nelle aree 39 e 40 dei lobi temporo – parieto – occipitali, che costituiscono appunto una sorta di “archivio”, mentre i lobi prefrontali sono la sede dell’Io, della capacità volitiva di identificare, valutare, verificare e decidere in base al dinamismo della realtà.

 

 

 

 

 

 

 

      Con il nostro Io possiamo tenere in archivio le memorie rimanendo liberi di osservare, identificare, verificare tutto ciò che accade intorno a noi e possiamo decidere, fare progetti e realizzare tutto quello che riteniamo utile alla nostra vita.

 

          Le memorie sono il nostro passato, e dal passato dobbiamo prendere solo ciò che è utile nel presente: l’Io vive il dinamismo del presente, gestendo i nostri organi di senso, il nostro corpo, il nostro comportamento, la nostra attività mentale ed ideativa.

 

 

 

 

 

 

 

          Troppi si rovinano l’esistenza e non vivono il presente perché rimangono ancorati al passato, con il suo carico di memorie spesso dolorose; dobbiamo invece acquisire la certezza che il presente è nelle nostre mani e dipende da noi costruirlo utilizzando positivamente le esperienze già vissute, coscienti della nostra unicità e della “sacralità” della nostra vita come di quella altrui.

 

 

 

 

 

 

 

        In sintesi, se il cervello lo gestiamo noi con il nostro Io, tenendo il archivio le memorie, siamo noi a decidere quello che ci deve accadere e che non ci deve accadere, quello che vogliamo realizzare e quello che non vogliamo realizzare, imparando nel contempo a gestire quegli accadimenti che non dipendono dalla nostra volontà.

 

          L’importante è tenere le memorie al loro posto, nei loro archivi, e farle venir fuori solo quando lo decidiamo noi, esattamente come quando richiamiamo un file da un computer.

 

 

 

 

 

 

        Nel computer i file vengono richiamati solo su richiesta di chi lo usa, mentre nel cervello umano basta uno stimolo che si associa ad una memoria e quella, in assenza dell’Io, viene richiamata automaticamente e ci fa rivivere magari la stessa sofferenza di venti anni prima.

 

 

 

 

 

 

 

          Quindi, il nostro cervello è una potenza immensa: se lo gestiamo noi, possiamo essere veramente “creatori” sulla Terra, invece se viene gestito dagli stimoli esterni e da tutto quello che quotidianamente ci arriva addosso,, siamo “oggetti” pilotati continuamente dalle proprie memorie, con tutta la sofferenza che spesso portano con sé e che riversiamo anche nel presente, precludendoci la possibilità di progettare e decidere della nostra vita creativamente e costruttivamente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Principi d’intervento

       Per poter attuare l’intervento neuropsicomotorio è indispensabile:

 

a)                 Conoscere la tappe di sviluppo psicomotorio e il processo di sviluppo della                         coscienza in base all’età biologica;

 

 

b)                 Effettuare un’attenta osservazione del bambino per verificare se questo                                 processo è avviato o meno;

 

 

c)                  Procedere ad una approfondita ricerca delle cause da cui origina il suo                                 disagio psicomotorio o il suo ritardo funzionale.

 

 

 

 

 

 

         Possiamo affermare che le cause della maggior parte dei disturbi o ritardi in età

evolutiva – in assenza di patologie organiche prenatali o perinatali, o insorte dopo la  

nascita a seguito di incidenti o problemi di ordine clinico – sono collegate ad esperienze vissute dal bambino come veri e propri traumi.

 

 

 

 

 

 

 

        Spesso, purtroppo, lo sviluppo psicofisico del bambino è “lasciato al caso”, non viene guidato in modo da permettere la graduale espressione cosciente delle sue potenzialità, e durante la crescita si accumulano una serie di traumi i cui effetti si manifestano e si strutturano nel tempo a seconda delle caratteristiche di personalità del bambino.

 

 

 

 

 

 

     A volte basta un urlo di un genitore in un momento in cui il bambino è più vulnerabile o sensibile per traumatizzarlo, oppure la visione di una scena spaventosa (alla televisione o nei videogiochi), una umiliazione, frasi che mettono in dubbio l’affetto per il bambino o il suo valore: “stimoli” che per l’adulto non hanno particolari valenze, ma che per il bambino possono essere causa di paura, insicurezza, senso di solitudine, svalorizzazione di sé.

 

 

 

 

 

 

 

        E’ quindi fondamentale saper osservare il bambino per poter rilevare i primi segnali di “disagio”, di malessere: ad esempio, un bambino che all’improvviso non vuole più andare a scuola, o smette di mangiare, non riesce più a dormire bene, non si allontana più dalla madre o da casa …

 

 

 

 

 

 

 

    Questi segnali non vanno mai sottovalutati pensando che siano stranezze momentanee, ma occorre andare subito a cercare la causa che li ha generati e rimuoverla, per poter innanzitutto rasserenare il bambino e fargli riacquistare fiducia in sé stesso e nell’ambiente affettivo che lo circonda.

 

 

 

 

 

 

 

      La causa va sempre rimossa, perché un trauma non risolto può generare disturbi e “patologie” che nel tempo diventano organiche, poiché tutto nel cervello si ripercuote a livello fisico ed organico.

 

 

 

 

 

 

        Di fronte ad un bambino in difficoltà, il primo “intervento” da attuare è quello di farlo sentire amato e rispettato indipendentemente dal suo comportamento o dai problemi che manifesta: dobbiamo dargli tanta energia che lui possa sentire innanzitutto a livello emozionale, dobbiamo “caricarlo” di amore, di stimoli positivi, incoraggiarlo continuamente, per poter entrare in contatto con lui, con il suo Io, e una volta stabilito questo contatto possiamo gradualmente sviluppare il nostro progetto riabilitativo di cui il bambino possa essere protagonista attivo.

 

 

 

 

 

 

 

          Prendiamo ad esempio il caso di un bambino iperattivo: quando si trova in stato di agitazione psicomotoria, con tutte le funzioni accelerate, con il cervello che non riesce a fermarsi su niente ma passa in continuazione da uno stimolo all’altro, dobbiamo riuscire a creare uno stimolo che per lui acquisti interesse e su cui possa soffermarsi anche per breve tempo; se lo osserviamo attentamente vedremo che c’è qualcosa su cui lui si sofferma di più rispetto a tutto il resto, e quello deve diventare il punto di partenza per agganciare la sua attenzione; se non abbiamo la sua attenzione, qualunque intervento è inutile e rischiamo di farci rifiutare, compromettendo la riuscita del progetto riabilitativo.

 

 

 

 

 

 

 

        Creare stimoli che aggancino la sua attenzione permette di entrare in contatto con lui, ovvero di entrare nel suo sistema nervoso, nei suoi lobi frontali: è lì che avvengono tutti i “miracoli” della persona, bambino o adulto che sia.

 

       L’Io risiede nei lobi frontali, non nelle aree psicomotorie, ed è attivando i lobi frontali che il bambino può “fermarsi”, interessarsi, avere attenzione.

 

 

 

 

 

 

 

      Quindi creare stimoli che ottengano anche un minimo di attenzione da parte del bambino è il punto di partenza per portarlo molto gradualmente (senza farlo stancare, altrimenti perdiamo il contatto) alla capacità di osservare e verificare il mondo circostante.

 

       Di solito i bambini hanno sempre curiosità, per cui occorre trovare qualcosa che li incuriosisce e da quel momento possiamo iniziare a lavorare sul bambino, lavorare in modo da allargare la possibilità del suo cervello di soffermarsi sui particolari.

 

 

 

 

 

 

 

        Le persone che vengono definite “superficiali” non si soffermano sui particolari, sui dettagli, non vanno in profondità, e la superficialità è frutto di una cosiddetta educazione che non favorisce la spinta innata del bambino a scoprire e capire le cose man mano che ne fa esperienza, e l’esperienza dovrebbe incentrarsi soprattutto sul mondo naturale, ricco di stimoli fisiologici che interessano e coinvolgono tutti gli organi di senso e le relative funzioni.

 

 

 

 

 

 

 

       Ai bambini dobbiamo quindi insegnare ad approfondire le cose, a conoscere e studiare ciò che vedono, sentono, percepiscono, toccano, esplorano, richiamando la loro spinta genetica ad essere “ricercatori” e “scienziati”.

 

 

 

 

 

 

 

      Nella prima fase di vita i bambini fanno infinite domande cercando sempre il perché delle cose, però man mano che crescono molti smettono di far domande, e questo è il segnale che in loro si sta spegnendo questa potente spinta a conoscere, da un lato perché non ottengono le risposte giuste, dall’altro perché vengono progressivamente sommersi da stimoli artificiali che incanalano la loro attenzione solo in certe direzioni a scapito dell’ampiezza delle loro potenzialità e capacità percettive, ideative, creative.

 

 

 

 

 

 

 

        Dobbiamo quindi riattivare la curiosità del bambino, la spinta del suo Io a scoprire e conoscere.

 

        Più riusciamo ad attivare quell’Io, più il bambino prende possesso del proprio corpo e del proprio cervello, riuscendo magari anche a compensare un deficit psicomotorio o correggere la postura o un arto che muove male, perché i nostri arti li comandiamo noi con il nostro cervello – e in assenza di lesioni che impediscono la funzionalità psicomotoria – possiamo modulare tutti i nostri movimenti, parole, azioni, pensieri, emozioni.

 

 

 

 

 

 

 

    Con il nostro Io possiamo decidere qualunque cosa ci riguardi, quello che è importante è la modulazione: imparare ad appropriarsi della modulazione delle nostre funzioni psicomotorie, cognitive, emozionali.

 

 

 

 

 

 

 

       Il nostro cervello può disporre di due diversi “sistemi di comando”: ha a disposizione il “pilota automatico”, che viene addestrato dall’ambiente e dall’esperienza, e il “pilota cosciente”, che può escludere il pilota automatico e decidere usando la propria Intelligenza, ovvero decidere di agire in base a ciò che è utile e giusto, non in base a ciò che piace o non piace per abitudine e condizionamento.

 

 

 

 

 

 

 

        Disattivare il “pilota automatico” richiede grande vigilanza e lavoro su noi stessi, perché sin dai primi anni di vita veniamo condizionati a ciò che ci piace o meno, e questo a tutti i livelli: i sapori (pensiamo ad esempio alle caramelle o alle merendine), i giochi, il modo di vestire, gli atteggiamenti, le persone da frequentare, le idee che difendiamo … quasi tutta la nostra vita è sottoposta alle abitudini e andiamo avanti ricercando ciò che per condizionamento ci piace o tentando di evitare ciò che non ci piace, senza però usare la nostra intelligenza per identificare e verificare se ciò che ci dà piacere è “fisiologico” e utile alla nostra crescita, alla nostra salute, alla nostra gestione dei rapporti con gli altri, in sintesi al nostro benessere psicofisico e spirituale.

 

 

 

 

 

 

 

        Per cui dobbiamo innanzitutto identificarci in noi stessi come individui unici e irripetibili, e creare noi i nostri progetti e le nostre azioni, senza mai fare nulla automaticamente.

 

 

 

 

 

 

 

     Pensiamo ad esempio a quante volte parliamo solo per automatismi, lasciandoci trascinare da polemiche, reazioni, difese, provocazioni, mentre possiamo acquisire la capacità di decidere ogni parola che diciamo, consapevoli che deve poter essere sempre utile e costruttiva per noi e per chi ci ascolta.

 

 

 

 

 

 

 

     La strada che stiamo proponendo è “rivoluzionaria” rispetto a come si vive normalmente, ma è una strada obbligata per poter uscire dall’attuale caos che produce disagi, malesseri e patologie, e permettere all’essere umano di “nascere in coscienza”, libero da abitudini, automatismi, paure, ossessioni e condizionamenti che limitano la sua volitività e la sua intelligenza.

 

 

 

 

 

 

 

         Per realizzare tutto ciò occorre partire dalla scuola dell’infanzia con una Educazione che sviluppi nei bambini la coscienza di sé e dell’ambiente innanzitutto naturale: il bambino deve poter vedere l’utilità dell’ambiente che lo circonda e cominciare a goderne, senza essere subito immerso, condizionato e limitato da informazioni artificiali che non risuonano con l’Intelligenza che è in lui e non la stimolano …

 

 

 

 

 

 

 

      La Natura dovrebbe essere il primo “libro” da cui cominciare ad acquisire conoscenza: pensate all’importanza del godere nel raccogliere un frutto sentendo l’”amore” di quell’albero che glielo offre, sentendo che quel frutto è il prodotto dell’Intelligenza della Natura, è un dono della Natura, e il bambino lo può riconoscere con la stessa Intelligenza come qualcosa di utile a lui, qualcosa da apprezzare non perché lo compra o lo consuma, ma perché ha un’”anima”.

 

 

 

 

 

 

 

        E’ così che inizia a sentire l’amore della vita e per la vita: dobbiamo vivere sapendo che abbiamo un’anima e riconoscere l’anima in tutto ciò che costituisce l’ambiente naturale, perché quest’anima è energia che ogni forma di vita esistente in Natura esprime e trasmette.

 

      Solo in tal modo il bambino potrà crescere mantenendosi collegato alle leggi naturali, fisiologiche, che regolano la sua stessa vita, e sono leggi fisiche, non astratte, metafisiche o soggette ad elucubrazioni mentali.

 

 

 

 

 

 

    Ci siamo sempre più allontanati dalla conoscenza di queste leggi fisiche che sottostanno ad ogni manifestazione della vita e anche dell’espressione dell’essere umano, per questo è urgente recuperare tale conoscenza e trasmetterla sin dai primi anni di scuola, mettendo le basi per la formazione di “ricercatori” e non semplici “ripetitori”.

 

 

 

 

 

 

 

        Tutto risponde a leggi fisiche, anche la comunicazione umana: la parola è un movimento di molecole che sotto forma di energia “trasportano” la parola stessa, e se questa ha un contenuto energetico di amore quelle molecole lo trasportano nelle varie aree del cervello dove diventa emozione, e l’essere umano vive di emozioni, positive o negative, armoniche o disarmoniche, tutto dipende dal contenuto energetico che le informazioni trasportano.

 

 

 

 

 

 

       Ecco perché è fondamentale imparare a comunicare esprimendo parole e pensieri “positivi”, che favoriscono il dialogo, la risoluzione dei problemi, la serenità, la valorizzazione di sé, la volitività, la crescita.

 

 

 

 

 

 

 

        Dobbiamo quindi assumere la responsabilità di tutto ciò che diciamo, perché le parole sono soltanto dei “vagoncini di trasporto” e dobbiamo decidere noi cosa vogliamo che trasportino.

 

 

 

 

 

 

    A volte basta una parola per scatenare ira o chiusure senza neanche averne l’intenzione, questo proprio perché raramente le parole vengono decise da chi le usa, ma vengono prodotte soprattutto come risposta a stimoli che arrivano addosso: se sono stimoli che arrivano come provocazioni o attacchi, il nostro sistema reticolare si attiva potentemente e reagiamo di conseguenza arrabbiandoci o chiudendoci, se invece sono stimoli piacevoli non avvertiamo nessuna minaccia e rispondiamo con gentilezza, ma tutto dipende dallo stimolo, non dalla nostra valutazione e gestione cosciente dello stimolo e della nostra risposta.

 

 

 

 

 

 

       Questo significa non essere "soggetti", vivere in balìa dell'istintività: anche il gatto risponde con le fusa se gli facciamo una coccola e ci graffia se lo trattiamo male, ma il gatto non può decidere, mentre l'essere umano si!

 

 

 

 

 

 

 

       Il prof. Delgado, nel corso dei suoi esperimenti sul comportamento animale, dopo aver impiantato degli elettrodi nel cervello di un toro, aveva rilevato che andando a stimolare certe aree cerebrali, con un comando a distanza, il toro nell’arena diventava aggressivo, stimolando altre aree diventava docile; le informazioni agiscono allo stesso modo se non vengono valutate e gestite: con una parola possiamo automaticamente far arrabbiare o far addolcire, mentre dobbiamo imparare a decidere il contenuto delle nostre parole in modo che esprimano quello che noi vogliamo esprimere, e a filtrare, valutare e gestire le informazioni che ci arrivano dagli altri per decidere noi se e come rispondere.

 

 

 

 

 

 

 

 

      E questo discorso vale per tutti i livelli di espressione e di vita dell’essere umano, perché il problema centrale è sempre lo stesso: educare l’individuo in modo che sviluppi il proprio Io cosciente e acquisisca così la capacità di gestire il suo cervello e decidere ogni suo comportamento dal piano psicomotorio al piano relazionale, emozionale, ideativo, creativo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Conclusioni

    In sintesi, qualunque intervento – educativo o riabilitativo – deve partire dalla conoscenza della fisiologia del dinamismo della vita e di ogni “sistema” che ne fa parte: se non conosciamo la fisiologia non possiamo né riabilitare, né curare, perché la patologia è sempre un’alterazione della fisiologia, e la cura consiste nella rimozione della causa che ha condotto all’alterazione stessa.

 

 

 

 

 

 

 

      Se conosciamo la fisiologia, è il sintomo stesso che ci orienta nella ricerca della causa, altrimenti non sappiamo “leggerlo” obiettivamente e oggettivamente, ovvero non sappiamo identificarlo nel suo significato sostanziale e non possiamo utilizzarlo per ricercare la causa che lo ha prodotto.

 

 

 

 

 

 

 

   Il metodo dell’identificazione obiettiva ed oggettiva è frutto delle nostre ricerche neuropsicofisiologiche sulla diversa funzionalità dei due emisferi cerebrali e le diverse modalità di codifica e di decodifica delle informazioni: l’emisfero destro identifica sempre l’informazione nella sua realtà fisica, non è condizionabile, non sviluppa abitudini, rimane sempre libero di percepire la realtà nel suo dinamismo senza mai sottostare al dominio delle memorie; l’emisfero sinistro non identifica ma associa le informazioni, acquisisce nozioni, modelli, codici di comunicazione, acquisisce condizionamenti che poi difende per mantenere un proprio equilibrio.

 

 

 

 

 

 

 

 

       L’emisfero destro utilizza un linguaggio comune a tutti gli uomini della Terra, quello genetico, che ci permette di riconoscere la musica e sentire se è armonica o disarmonica, ci permette di vibrare davanti ad un tramonto, di provare emozioni che trascendono lo spazio e il tempo, di percepire un bambino nella sua immensità; l’emisfero sinistro invece utilizza un linguaggio formale codificato dalla cultura, prova emozioni in base al principio del piacere, interpreta la realtà non nel suo dinamismo ma in base ai modelli che di essa ha costruito.

 

 

 

 

 

 

 

 

     Generalmente l’emisfero sinistro tende a prevalere sul destro perché elabora le informazioni più velocemente, in base alla modalità stimolo – risposta, mentre l’emisfero destro ha tempi di elaborazione più lunghi proprio perché rimane sempre spaziale e ogni informazione viene identificata in tutte le sue caratteristiche.

 

 

 

 

 

 

 

 

      Finché sono gli stimoli esterni ad attivare o l’uno o l’altro emisfero, non c’è sinergia cerebrale, ovvero non c’è “cooperazione” fra i due emisferi, mentre occorre mettere in condizione l’Io di comandare il cervello in toto, utilizzando e armonizzando le diverse funzioni dei due emisferi in base alla propria volontà e alle proprie scelte.

 

 

 

 

 

 

 

      Questa è fisiologia, e se il bambino potesse gradualmente sviluppare il suo Io sin dalle prime fasi di vita – così come previsto dal suo programma genetico – senza essere limitato da condizionamenti e bloccato da traumi di varia natura, potrebbe arrivare alla pubertà con una sua Individualità già ben formata ed avviata verso una crescita senza fine, e potrebbe già esprimere quella creatività e quella saggezza insite nelle sue potenzialità.

 

 

 

 

 

 

 

      Stiamo lavorando affinché si realizzi e si diffonda una Educazione che permetta tutto questo, ma di “danni” ne vengono fatti ancora tanti, per cui oltre a prevenire occorre curare le patologie già in atto e rieducare i cosiddetti “sani” che spesso, benché normali nel loro sviluppo psicofisico e ben adattati ai modelli sociali, vivono guidati dal “pilota automatico” invece che dal loro Io Cosciente.

 

 

 

 

 

 

 

        Pertanto, dare coscienza al bambino di come gestire le potenzialità già sviluppate, preparando a gestire quelle che ancora devono svilupparsi, sarebbe già un primo passo fondamentale verso la prevenzione delle tante difficoltà che emergono in età evolutiva.