dna cervello coscienza consapevolezza educazione
dna cervello coscienza consapevolezza educazione
International Society of Neuropsychophysiology "Dal DNA il cervello, dal cervello la coscienza"
International Society of Neuropsychophysiology"Dal DNA il cervello, dal cervello la coscienza" 

 

LA SOVRANITÀ DELLA DIGNITÀ UMANA

 

NELLA GESTIONE E NELLA RISOLUZIONE

 

DEI CONFLITTI

 

di

 

Michele Trimarchi

 

 

 

Presentato a:

 

The Fuschi Conversation,  Valencia (Spain), September 21 – 25, 1992

 

XIXth Round Table on Current Problems of International Humanitarian Law Sanremo (Italy), 29 August – 2 September, 1994

 

United Nations World Conference on Population and Development Cairo (Egypt), September 5 – 13, 1994

 

CSCE Budapest Review Conference 10 October – 2 December, 1994

 

All Polish and European Conference Human Rights Education on Academic Level
(including the teaching of Bioethics) Torun (Poland), 14 – 16 October, 1994

 

 

 

 

 

 

PREMESSA

 

        La conflittualità umana nell’evoluzione politica delle società di tutto il mondo ha promosso studi e ricerche a cui le autorità politiche dovranno fare riferimento per migliorare la qualità della vita e per concretizzare quei principi universali sanciti dalle Nazioni Unite fin dal 1948 con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

 

 

        Ci è stato chiesto di trattare la gestione e la risoluzione dei conflitti del nostro Paese, argomento questo ampiamente trattato dal Centro studi per l’Evoluzione
Umana di Roma con metodo pluridisciplinare ed integrato.

 

 

           Da tali studi è emerso che il management e la risoluzione dei conflitti in Italia sono affidati alle istituzioni pubbliche, ossia al sistema politico statuale, che adotta i metodi classici previsti dalla Costituzione democratica repubblicana, metodi questi usati nella maggior parte della Nazioni del mondo.

 


         Tali metodi tentano di limitare la conflittualità che sempre più è in aumento proprio perché i principi costituzionali non vengono decodificati e pianificati adeguatamente nella formazione e nello sviluppo delle coscienze dei cittadini.
        Ciò produce nuovi conflitti di interesse e di valori legati sempre più ad egoismi sfrenati, a sete di potere a scapito della qualità della vita.

 

 

         Per cui eviteremo di trattare nei particolari la conflittualità e la sua risoluzione in Italia, poiché all’interno dello Stato i conflitti politici ed economici sono ormai patrimonio di conoscenze internazionali.

 


         Nella nostra veste di scienziati al servizio dell’evoluzione umana tratteremo
l’argomento scientificamente, con metodo integrato, al fine di dare un contributo utile all’analisi ed alla valutazione, nonché ai metodi di risoluzione dei conflitti sia negli aspetti fisiologici che patologici, proponendo un metodo d’approccio per l’avanzamento delle conoscenze finalizzato a trasformare gli attuali stili di soluzione dei conflitti (esitamento, obbligazione, dominazione, compromesso ed integrazione) in un sistema pluridisciplinare che porti alla risoluzione dei conflitti dove le parti accettino con libero consenso la risoluzione stessa, poiché è giusta ed utile alla crescita ed al benessere della collettività umana.

 

 

          In sintesi la giustizia deve prevalere su quella logica che giustifica l’egoismo ed il potere del più forte ma non il rispetto della sovranità della centralità dell’Uomo (donna e uomo) e della sua dignità, di qualsiasi Paese, razza o colore sia, poiché i Diritti Umani hanno identificato il principio di sovranità delle Nazioni nella dignità umana e di conseguenza tutti i sistemi politici del mondo, per risolvere ogni forma di conflitto umano e sociale, debbono adeguarsi ad esso.

 



 

 

ORIGINI DEL CONFLITTO INTRAPERSONALE


     Fin dagli albori della civiltà, il conflitto e la risoluzione del conflitto hanno rappresentato due particolari momenti dell'evoluzione umana.

        I meccanismi intrinseci che regolano queste due fasi evolutive sono di natura sia genetica che psicologica.

       Di natura genetica, in quanto il rapporto tra individuo e ambiente viene controllato e regolato da leggi genetiche predisposte a mantenere una omeostasi energetica dinamica.

       Di natura psicologica, poiché la percezione dell'ambiente circostante viene regolata da un continuo confronto tra ciò che è già patrimonio mnemonico ed esperienziale dell'individuo (e quindi difeso) e ciò che è estraneo ad esso, ossia tutto ciò che è nuovo può destare sia curiosità che paura, a seconda delle caratteristiche informazionali della novità.

 

 

         La paura genera il conflitto intrapersonale (di fatto, tra individuo e ambiente), la curiosità provoca una spinta verso una migliore conoscenza del percetto (o della novità).
        Alla base, quindi, di qualsiasi forma di conflitto possiamo identificare la paura, come meccanismo di difesa di una dinamica evolutiva dell'essere biologico.

 

 

        Paura, tensione-sofferenza, conflitto, competizione, risoluzione (esperienza): sono queste le fasi attraverso cui l'individuo sviluppa coscienza, ciò sia a livello animale che umano.
      Il conflitto gioca, dunque, un ruolo fondamentale nell'evoluzione della coscienza umana.

        Fin dalla nascita l'individuo è sottoposto a pressioni e tensioni di varia natura e ciò consente modificazioni biologiche e comportamentali che spingono gradualmente a modificare la propria visione del mondo, fino a portare alla saggezza.

 

 

        Il triaì-and-error fa parte di tale processo, ma di solito l'errore viene riconosciuto solo quando il conflitto che si determina tra individuo e ambiente viene risolto con la comprensione del processo che ha indotto l'individuo in errore.

 


       Ma l'accettazione e la comprensione dell'errore per l'individuo non sono facili, poiché dipendono da molti fattori tra cui l'età, la gravità dell'errore, il numero di effetti provocati.

        È come se il cervello umano potesse compiere azioni, e in questo è facilitato, ma gli fosse molto difficile tornare indietro, ossia rivedere le proprie responsabilità, i propri errori nell'azione compiuta.

 

 

        Gli ostacoli che si oppongono all'azione messa in atto dall'individuo lo costringono a modificare il proprio comportamento.

       Vediamo in tale processo che la risoluzione del conflitto, che vede in gioco forze contrastanti, antagoniste, é possibile solo con la vittoria, e quindi la capitolazione della controparte.

       In questo caso la conditio sine qua non della risoluzione è o la capitolazione o l'accettazione dell'errore, e quindi la sottomissione di una forza all'altra.

 


     L'accettazione dell'errore o la capitolazione avviene nel caso in cui l'azione contrastante metta in pericolo la sopravvivenza biologica dell'individuo.

         Alla base di ciò vi è un meccanismo di difesa del sistema biologico che pone in atto risposte comportamentali mirate a mantenere integro il sistema stesso.

      Per cui, se da una parte si ha la spinta all'autoaffermazione sull'ambiente, dall'altra vediamo che l'individuo difende a priori la sua sopravvivenza.

 

 

         Tutto ciò è regolato da pulsioni genetiche che vengono gradualmente modificate e controllate dalle esperienze.
     La determinazione analitica delle caratteristiche del conflitto è quanto mai necessaria per rendere giustizia all'evoluzione umana.

 

 

      Un bambino represso da un sistema familiare fortemente coercitivo elabora strategie di evitamento che lo modificano nelle spinte fisiologiche fino al punto da renderlo deviante per la società.

         In questo caso, in futuro il bambino sarà condizionato a vivere il suo rapporto con gli altri nello stesso modo e con le stesse strategie con cui è sfuggito al sistema coercitivo familiare.
 

 

        Per la gestione dei conflitti egli attuerà l'evitamento, sfuggendo così al confronto.   

      Tale modo di gestire il conflitto, però, non é corretto ai fini di una sua crescita conoscitiva dell'ambiente e del mondo che lo circonda.
 

 

        Al contrario, un bambino facilitato dall'ambiente familiare nell'espressione dei suoi potenziali genetici gestirà meglio il confronto con gli altri e sarà quindi facilitato nella sua crescita conoscitiva.

 

 

      Questi aspetti del carattere derivano principalmente dal transfert educativo familiare nella prima fase di sviluppo dell'individuo.

         Gli infiniti modi di gestire il conflitto da parte dell'individuo, come abbiamo visto, hanno dato vita a una cultura pluridisciplinare che ha reso più complessa la comprensione del processo evolutivo che giustifica la conflittualità umana ai fini di una crescita conoscitiva o, meglio, di una migliore conoscenza di sé stesso e dell’ambiente fisico in cui l'individuo vive.

 

 

 

 

 

 

BREVI CENNI DI FISIOLOGIA E  PATOLOGIA DEL CONFLITTO



      L'interazione tra sistemi fisici e biologici produce dinamismo: ogni sistema, nell'interazione, tende all'equilibrio dinamico, per cui l'interazione fisiologica avviene sempre con l'integrazione delle nuove informazioni.

 

 

        Il conflitto tra sistemi fisici e biologici nasce quando le nuove informazioni non sono rapidamente integrabili.

       In base alle caratteristiche delle informazioni, il sistema opporrà una resistenza che è direttamente proporzionale a quanto l'informazione si discosta dalle possibilità integrative del sistema ricevente.

 


       Applicando all'uomo tali principi fisici, vediamo che egli entra in conflitto nello stesso modo, ossia quando l'interazione non consente l'integrazione delle nuove informazioni per cui i livelli di conflittualità, entro certi limiti, sviluppano nel sistema cerebrale un dinamismo tendente a rielaborare le informazioni al fine di integrarle.

 

 

         La quantità, l'eterogeneità, le caratteristiche fisiche delle informazioni, nonché il modo con cui vengono apprese (coattivo, spontaneo), se sono state richieste o imposte, determinano nel tempo un software dinamico cerebrale che sottostà alle leggi fisiologiche e biologiche che regolano l'attività genetica di controllo dei meccanismi di difesa, attacco, fuga, aggressività, accettazione, sottomissione, integrazione.

 


           Ogni individuo, dunque, sviluppa una psicotipologia specifica che è necessario
comprendere nell'interazione al fine di portare la comunicazione su forme sintoniche proprio per ridurre la conflittualità.

         Il conflitto nasce, quindi, dall'incomprensione e dalla mancata possibilità di associazione/integrazione delle informazioni in arrivo.

 


        Una delle chiavi importantissime della comunicazione, da tenere sempre presente, è quella di non negare mai a priori le affermazioni degli altri.

     Così facendo, si predispone il proprio sistema di percezione innanzitutto a conflittualità zero, di conseguenza ad uno scambio di informazioni con possibilità d'integrazione.

 

 

       La complessità delle funzioni superiori del cervello umano è tale che sarebbe necessario studiarle sistematicamente per comprendere la scientificità di quanto sopra affermato.

        Nel contesto possiamo semplificare analizzando le componenti essenziali della percezione.

 


           L'anatomia e la fisiologia indicano che nel cervello si possono determinare due
sistemi di percezione, rispettivamente nell'emisfero destro e nell'emisfero sinistro, i quali comunicano attraverso un ponte di fibre nervose (il corpo calloso) deputate a mantenere sinergico il sistema percettivo globale.

 

 

       Fin dalla nascita nei due sistemi, attraverso il flusso di informazioni che li raggiungono, vengono a determinarsi le fondamenta della personalità, del carattere e dell'intelligenza, in base alle caratteristiche fisiche dell'informazione.

         Naturalmente, il sistema fisiologico globale, che possiamo chiamare hardware genetico, determina le richieste necessarie al mantenimento dell'omeostasi dinamica dell'individuo in toto.

 


           I due emisferi, alla nascita, comunicano tra loro fisiologicamente e si sviluppano armonicamente fino a che le informazioni non cominciano a separare funzionalmente e dinamicamente l'attività percettiva, per cui sono le informazioni e i loro contenuti sostanziali che iniziano a dar vita, nell'individuo, a due processi di percezione e di memorizzazione.

 

 

          Ogni informazione imposta, e che abbia in sè la caratteristica della ripetitività, produce lateralità percettiva; ogni qualvolta uno stimolo esterno evoca tale informazione, l'individuo non farà altro che rispondere ripetendola.

 

 

        In tale circostanza non vi è più attività sinergica tra i due emisferi.

      Infatti, l'informazione memorizzata contiene in sè la risposta automatica, quindi non richiede nessuna rielaborazione e diventa il classico condizionamento robotico
tipico del computer.

 

 

         È l'emisfero sinistro, geneticamente predisposto, che raccoglie in sè questo tipo di informazioni.
          Qualora l'informazione non abbia subito codificazioni simboliche, ma sia
direttamente emessa dall'oggetto e dall'ambiente nello spazio, non evoca una risposta automatica, prememorizzata nell'E.S., ma viene percepita ed integrata con un processo sinergico tra i due emisferi.

 

 

          Per impedire la disconnessione emisferica il metodo ideale è quello di presentare contemporaneamente, soprattutto nella prima infanzia, sia l'informazione simbolica sia l'oggetto o la situazione legata al simbolo o che questo dovrebbe identificare.

      Ciò consente, in qualsiasi momento e con qualsiasi tipo di informazione - sia oggettuale che simbolica - una risposta sinergica (il simbolo richiama la sostanza, la sostanza permette di essere comunicata con il simbolo).
 

 

      Tali basi di conoscenza dovrebbero trasformare la pedagogia, l'educazione scolastica e universitaria, e ciò libererebbe l'uomo dalla ripetitività che, al paradosso, lo rende un vero e proprio computer e lo scinde in due personalità: una fortemente ripetitiva e l'altra, sconosciuta alla prima, emotiva e irrazionale, con un'alterazione continua dell'umore a seconda della prevalenza dell'una o dell'altra personalità in base alle situazioni e interazioni.
 

 

           Tale sdoppiamento favorisce la conflittualità sociale, disumanizza la personalità dell'individuo e soprattutto abolisce la creatività.

 

 

          Inoltre, l'individuo partecipa a quella competitività sociale che sfocia spesso in una forma di conflittualità difficilmente risolvibile.

        Infatti è proprio l'organizzazione politica e sociale che tenta di pianificare la formazione del carattere degli individui per renderli omogenei alle regole che la società si è data, per cui riconoscersi in tali regole di comportamento (diritti e doveri) rende l'essere umano adattato alla società, con tutta quella gerarchia di poteri che lo classificano di fatto, e non di diritto, di serie A, di serie B, di serie C, ecc.

 

 

         Ma, come abbiamo visto, è soltanto una parte del cervello che può essere istruita a tali modelli sociali; l'altra parte sfugge al controllo dei fattori attivanti/inibenti del comportamento determinato dalle regole di cui, anzi, produce, con una conflittualità intrapersonale, la continua trasformazione.

 

 

         In tal modo possiamo configurare l'evoluzione politica di tutti i popoli in una forma di evoluzione che insegna all'individuo a limitare e a gestire il conflitto all'interno di una organizzazione che libera gradualmente l'uomo dalla schiavitù di bisogni altrimenti difficili da soddisfare.

 



 



IL RUOLO DEL CONFLITTO NELL'EVOLUZIONE SOCIALE

 

        La conflittualità umana, con le sue mille sfaccettature, si trasforma all'interno del gruppo in una forma di conflittualità sociale. Per cui l'organizzazione del gruppo e della società è finalizzata, da una parte, a ridurre la conflittualità evolutiva dell'individuo, dall'altra, a consentire un più rapido sviluppo della coscienza dell'individuo stesso attraverso l'interazione sociale.

 

 

       Abbiamo così, a vari livelli, la gestione del conflitto: il primo gradino consiste nell'opera svolta dai genitori all'interno della famiglia che, applicando le regole imposte dalla società in cui essa vive, preparano, formano i primi livelli di coscienza nei figli, i quali, dall'educazione, imparano ad evitare o a gestire il conflitto sia intrapersonale che interpersonale.
 

 

         Da ciò si evince che l'evoluzione umana, sia a livello di individui che di gruppi, progredisce proprio attraverso la gestione del conflitto.

 


        Le varie forme di civiltà possono essere associate ad una sempre migliore gestione della conflittualità.

       Possiamo ipotizzare a questo punto che la conflittualità è inversamente proporzionale al grado di civiltà o di evoluzione sia nell'individuo che nel gruppo e nella società.

 


        Vediamo così che lo sviluppo politico di tutte le società del mondo, se da una parte ha gestito il conflitto con la coercizione e imposizioni di varia natura, dall'altra ha portato l'individuo verso livelli di libertà e di evoluzione sempre più elevati.

 


          I diritti e i doveri dei cittadini sanciti dalle varie Costituzioni indicano, appunto, gli spazi di libertà in cui muoversi, oltre i quali possono verificarsi stati di conflittualità sia interpersonale che tra individuo e società.

         Vi sono, poi, gli organismi sovranazionali che controllano il buon andamento dei rapporti tra Stati o tra Stati e cittadini, come l'ONU, la CEE, il Consiglio d'Europa, ecc.

 


       L'adeguamento da parte di uno Stato a norme internazionali porta a ridurre sempre più la conflittualità di interessi fra gli Stati e allo stesso tempo favorisce l'evoluzione e l'armonizzazione di tutti gli esseri umani del mondo.
 

 

            Alla luce degli accadimenti attuali sembra però che le maggiori libertà sociali
producano un'enorme conflittualità tra individui e tra poteri pubblici e privati.

         La causa di ciò sembra risiedere nella evoluzione democratica degli Stati, che induce il cittadino ad assumersi la responsabilità delle sue scelte politiche.

 

 

          Si chiede, quindi, all'individuo di usare il livello di coscienza raggiunto ai fini di una migliore organizzazione sociale.

       Purtroppo, tra l'organizzazione politica dello Stato e il cittadino si generano incomprensioni, poiché le istituzioni non traducono alla coscienza di quest'ultimo i valori costituzionali nei tempi e nei modi adeguati.

            Si viene così a creare una disfunzione tra il valore delle leggi democratiche e le
caotiche aspettative dei cittadini, il feedback che ne risulta produce conflittualità e caos all'interno del sistema politico statuale.
 

 

          Tale meccanismo fa parte comunque di un processo evolutivo per cui passare da
un sistema fortemente coercitivo, come può essere una dittatura, ad un sistema
democratico, ossia acquisire diritti senza conoscere profondamente i doveri,
provoca forti squilibri nell'evoluzione della società.

 

 

         C'è chi pensa che per risolvere tali conflitti sia necessario aumentare il potere coercitivo dello Stato.

         Molti Stati, infatti, prevedono ancora la pena di morte come deterrente contro comportamenti criminali.

 

 

        Ma ciò non frena, non limita e non risolve la conflittualità sociale, poiché essa tende semmai ad aumentare, ed è necessario riflettere profondamente per ricercarne le cause.
 

 

           La dittatura mantiene l'ordine con sistemi repressivi contrari alla democrazia.
        Se è vero che un sistema di governo dittatoriale riduce la conflittualità sociale migliorando l'ordine tra poteri pubblici e privati, tra Stato e cittadini, non è affatto vero che l'ordine pubblico imposto elimina la conflittualità intrapersonale, poiché all'interno dell'individuo si ingenerano delle tensioni, dovute alla paura delle coercizioni, che oltre certi limiti esplodono in azioni collettive che dapprima minacciano il sistema dittatoriale e poi, se il potere non riduce le sue azioni coercitive e quindi le tensioni, producono gradualmente una valanga che travolgerà il sistema stesso, trasformandolo verso livelli democratici sempre maggiori.

 

 

          Ma nel passaggio veloce e traumatico da un sistema all'altro aumentano i livelli di entropia, di squilibrio, di caos: il nuovo sistema politico, dunque, deve agire in modo tale da ridurre gli squilibri verso un ordine in cui ogni individuo diventa consapevole delle proprie responsabilità verso il buon andamento della collettività.
 

 

       Nella maggior parte dei casi l'azione politica, all'interno di un sistema democratico, favorisce più i gruppi - come partiti politici, sindacati, ecc. - che l'individuo, per cui la consapevolezza dei leader, trasferendosi nella consapevolezza dei singoli associati, di fatto limita quella visione globale che invece lo Stato dovrebbe dare al cittadino.

       Di conseguenza, il conflitto si sviluppa tra i partiti (gruppi), e l'individuo è solo un rafforzativo della lotta tra partiti.

        Ciò incrementa la conflittualità del sistema, creando subsistemi di azioni collettive per cui la presa di coscienza dell'individuo, che dovrebbe essere più ampia possibile all'interno del sistema democratico, viene filtrata e limitata dagli interessi del gruppo.
 

 

     Troppo spesso la visione ideologica viene sacrificata in favore di interessi che acuiscono la conflittualità sociale perchè prediligono alcuni a scapito di altri.

        Di solito le ideologie hanno principi di giustizia sociale che favoriscono l'evoluzione umana, ma purtroppo l'individuo nel conflitto, nella competizione e nella lotta perde quasi sempre le linee guida di quei principi globalizzati in cui afferma di credere.

 

 

      E' come dire che teoria e pratica si contraddicono.

     Tali fenomeni, rilevabili più o meno in tutti i sistemi politici del mondo, mettono in evidenza il ruolo giocato dal conflitto all'interno dei sistemi politici, ossia esso costringe i cittadini ad una verifica continua dei propri livelli di coscienza per ricercare, attraverso il conflitto stesso, quei principi di giustizia a cui ognuno dovrebbe tendere.
 

 

      Abbiamo fin qui visto che qualsiasi forma di conflitto intrapersonale, interpersonale, di gruppo, sociale, religioso, ecc., è un elemento propedeutico per l'evoluzione della coscienza umana verso quei principi di libertà, di giustizia, di cooperazione e di amore a cui l'umanità, anche inconsapevolmente, tende.
 

 

       Abbiamo visto anche che la famiglia, il gruppo, le nazioni, si organizzano politicamente per favorire una evoluzione più serena del genere umano, controllando sempre meglio la conflittualità che deriva da quel mondo animale che per necessità evolutiva spinge il pesce grande a mangiare il pesce piccolo, così come il lupo mangia l'agnello e, ancora, il leone la gazzella, in sintesi alla sopravvivenza del più forte.

           In questo senso l'evoluzionismo darwiniano insegna.

 

 

 

           L'uomo realizza con la sua evoluzione culturale nel tempo e nello spazio quel
progetto che in potenza è nel suo patrimonio genetico attraverso il conflitto e la graduale presa di coscienza, utilizzando principi come il bene e il male, l'equità, la giustizia e mezzi come le punizioni, l'occhio per occhio dente per dente, pur tenendo sempre in considerazione mete ideologiche come l'uguaglianza di tutti cittadini di fronte alla legge, il rispetto della dignità di tutti gli esseri umani del pianeta, il diritto al benessere psicofisico e sociale, il diritto all'istruzione, all'educazione, la protezione delle fasce più deboli della popolazione, la libertà di culto, ossia il diritto alla trascendenza spirituale: in sintesi, il diritto ad evolversi serenamente senza quella conflittualità e competitività negativa che portano agitazioni tra cittadini, tra Stati.

 

 

          Le guerre di religione sono proprio la massima contraddizione dei valori che le religioni stesse esprimono.
 

 

           Alla base di tutto ciò risiede il più grande enigma per l'umanità, per gli studiosi
e soprattutto per le scienze psicologiche, il conflitto nasce dalla certezza della verità che l'individuo, il gruppo o la nazione riconoscono in sè, e quindi dalla "impossibilità" di integrare ciò che è diverso, ciò che è estraneo alla propria evoluzione, alle proprie idee ed ai propri interessi.

 


        Come si può constatare, la giustizia individuale, sociale, politica, divina, non hanno ancora per l'uomo, nella realtà concreta, un profilo universale ossia valido per tutti gli uomini e per tutti i popoli.

 

 

        Il diritto positivo, infatti, nazionale ed internazionale, svolge per ora un ruolo "vicario" rispetto alla giustizia, ma non è ancora la giustizia, poiché l'evoluzione della coscienza umana tende verso una sempre migliore comprensione della propria identità psicofisica, spirituale e sociale.

 


          L'evoluzione del diritto, infatti, segue la dinamica e l'evoluzione della coscienza umana, per cui le norme giuridiche si modificano man mano che la risoluzione della conflittualità individuale e sociale necessita di leggi o di norme giuridiche sempre più idonee a rendere giustizia ai cittadini.
 

 

         Abbiamo analizzato le origini, i meccanismi fisiologici e patologici, nonché l'utilità, nell'evoluzione culturale dei popoli, del conflitto.

    Ma la società, con la sua organizzazione politica, lo prende realmente in considerazione quando le manifestazioni conflittuali superano i livelli di normalità, ossia quando l'individuo fa degenerare il proprio comportamento oltre i limiti consentiti dalla legge.
 

 

      Le norme civili e penali determinano, con le sanzioni economiche, con la limitazione della libertà e, in alcuni Paesi, con la pena di morte, la risoluzione del conflitto individuale e sociale.

      E' come dire che la risoluzione di un conflitto richiede un prezzo da pagare da parte di chi lo ha generato e ciò è sufficiente per far rientrare nella normalità lo svolgersi della vita sociale.
 

 

       Nel sistema politico tale metodo di approccio alla risoluzione dei conflitti sociali si applica attraverso gli apparati della giustizia.

     Tali apparati, gestiti da giudici e avvocati, potrebbero far pensare che il vero management dei conflitti si può sviluppare attraverso una migliore e più profonda preparazione dei giudici, degli avvocati e delle strutture giudiziarie.

       Ciò purtroppo corrisponde solo in parte al vero, poiché i limiti imposti sia al giudice che all'avvocato dipendono proprio dall'astrattismo delle leggi, delle nonne giuridiche, le quali poco insegnano sulla dinamica esistenziale dello sviluppo psicofisico e spirituale dell'uomo.
 

 

        Possiamo noi oggi affermare che gli avvocati e i giudici sono realmente in grado di mediare - e non di punire -il conflitto che si stabilisce tra persone o tra individuo e società?

 

 

       Eppure l'apparato della giustizia all'interno di una società democratica dovrebbe essere lo strumento più sofisticato attraverso il quale è possibile migliorare la società, dando coscienza ai cittadini tramite la giusta risoluzione dei conflitti individuali e sociali.

 

         Per far ciò è sempre necessario ricordare che l'individuo, in presenza di stimoli da lui ritenuti non giusti, reagisce, a volte in maniera abnorme, tanto da incorrere nell'azione giudiziaria, e quel che è peggio è che ignora il valore concettuale ed educativo sia delle leggi che delle nonne giuridiche che dovrebbe rispettare, poiché queste non vengono, nel sistema educativo nazionale ed internazionale, opportunamente decodificate per l'alfabetizzazione e la formazione della coscienza sociale dei cittadini.

 



 







GESTIONE
E RISOLUZIONE DEI CONFLITTI

 

          Per  determinare gli aspetti metodologici della gestione e della risoluzione dei

conflitti si rende indispensabile un'ampia classificazione della fenomenologia
Legata al principio di causa-effetto.

        Ciò permette una forma di razionalizzazione dinamica che come tale consente un approccio scientifico al fenomeno stesso.

 

 

     Come abbiamo visto nella trattazione fisiologica e patologica del conflitto, indipendentemente dagli interessi che lo causano, possiamo circoscrivere il fenomeno all'interno del singolo individuo e moltiplicare, laddove gli stessi interessi coinvolgano più persone, perii numero di soggetti che condividono la situazione in atto.

 

 

        In questo caso la comprensione dei fenomeni che regolano il conflitto è più semplice proprio perchè gli elementi scatenanti contraddicono regole comuni all'interno del gruppo {regole morali, etiche, economiche e sociali).

        Pertanto anche la risoluzione è possibile attraverso un'azione che ristabilisca la sovranità dei principi che regolano l'equilibrio del gruppo stesso.
 

 

           Nella trattazione fisiologica del conflitto abbiamo visto anche come le nazioni
controllano il dinamismo della società con leggi, nonne giuridiche e funzioni pubbliche.         In tale contesto la società si organizza in gruppi, associazioni, ecc., che condividono idee e strategie che confrontano tra loro per raggiungere livelli di benessere e di giustizia sociale sempre migliori.

        Il conflitto, quindi, è permesso entro i limiti della non-violenza.

      La competizione, però, non sempre si mantiene nei limiti della legalità e questo genera insoddisfazioni che, a loro volta, producono limitazione allo sviluppo individuale e sociale.

 

 

        Per cui la gestione e la risoluzione dei conflitti da parte dei governi richiede una migliore conoscenza scientifica dell'uomo onde prevenire quelle disfunzioni all'interno delle istituzioni che sono i prodromi di una conflittualità generalizzata.
 

 

        Soprattutto in questi ultimi tempi vediamo che i Governi fanno una grande fatica ad abbandonare l'antico metodo di gestione del conflitto, dove si applicava la legge del più forte per risolvere le controversie, e ciò produce una conflittualità nuova, all'interno delle Nazioni, tra il desiderio di pace delle nuove generazioni e l'istinto egemonico che l'uomo e le Nazioni portano ancora dentro di sè.
 

 

        Una vera pace - che consiste nel rispetto dei diritti umani, dove ogni Uomo deve essere tutelato e garantito nella sua dignità, sviluppo, presa di coscienza - è possibile soltanto con una alfabetizzazione planetaria di tali valori e non con mere dichiarazioni o con enunciazioni demagogiche di giustizia sociale e umana.

 

 

          Il ricorso alle armi non renderà mai giustizia alla dignità umana, ma legittima la sopraffazione del più debole a scapito dei diritti umani.

 

         

          Tale principio spinge ad una riflessione utile per la ricerca di metodi risolutivi dei conflitti in sintonia con le finalità degli Stati che condividono i diritti umani.
 

 

        La sovranità degli Stati in base agli accordi internazionali ha giocato un ruolo, all'interno dell'evoluzione dei Popoli, determinante per lo sviluppo economico e sociale.             Ma oggi essa è ormai una contraddizione dei principi regolatori dei diritti umani.

 

        Infatti tali principi sanciscono a livello planetario la sovranità della dignità umana riconosciuta universalmente da tutti i popoli della Terra.

 

 

       Il primo dovere delle Nazioni Unite, quindi, non è quello di tutelare la sovranità della Nazione, ma della dignità umana del nucleo donna-uomo e dare, allo stesso tempo, a tutte le Nazioni del mondo leggi conformi alla tutela e allo sviluppo di quei valori che rendono giustizia alla sovranità della vita umana.
 

 

         Ecco, dunque, delinearsi un metodo scientifico, pluridisciplinare e integrato per la risoluzione dei conflitti individuali e sociali e, al tempo stesso, per l'eliminazione di quella enorme manipolazione delle informazioni che spingono purtroppo verso la sopraffazione del più debole in favore del più forte, sia esso individuo, gruppo o nazione.
 

 

          L'adeguamento degli Stati al principio di sovranità della centralità dell'Uomo
(donna e uomo) e della sua dignità sposta tutto l'asse politico verso una nuova
impostazione costituzionale, poiché le istituzioni, come la scuola, l'università, la giustizia, la sanità, l'economia, ecc., dovranno finalizzare i loro studi e le loro energie alla concretizzazione di azioni atte a motivare l'individuo alla vita attraverso una graduale autogestione della sua dignità, delle sue potenzialità creative, utili al potenziamento di socializzazione integrante ed armonica delle diversità esperienziali umane di tutte le Nazioni.

 


         I vari studi condotti nel mondo sulla gestione e risoluzione dei conflitti indicano che il conflitto può essere: latente o aperto; diretto o indiretto; non violento o violento; tra superiori, subordinati e pari.

 

 

         Le fenomenologie conflittuali avvengono tra interessi e/o valori sia all'interno dello sviluppo della personalità che all'interno dei gruppi e delle Nazioni.

 

 

           Gli interessi sono economici, egemonici, ecc.; i valori possono essere ideologici, religiosi, etici, culturali e così via.
 

 

            Molto abbiamo detto delle varie forme di conflitto, analizzando anche come un
conflitto latente si può trasformare in, breve tempo in un conflitto generalizzato, identificabile in altre forme.

 

 

        I vari stili di soluzione dei conflitti sono stati classificati come: evitamento, compromesso, obbligazione, dominazione e integrazione.

 

 

        Noi riteniamo che qualsiasi risoluzione di conflitti, che non applichi il metodo dell'integrazione e che non porti alla risoluzione mantenendo integra la dignità dei singoli individui, è solo fittizia e rinvia il problema a nuove forme di conflitto.
 

 

       E' necessario porsi, dunque, nella condizione di creare studi e ricerche concependo un nuovo metodo di approccio alla risoluzione dei conflitti che tenga conto:

1. della centralità dell'Uomo, della sua dignità e della sua sovranità all'interno del suo habitat territoriale e sociale;

2. che nessuna risoluzione sarà tale se le parti non esercitano il libero consenso nella risoluzione stessa;

3. che chi gestisce la mediazione dei conflitti deve innanzitutto considerare la realtà oggettiva in cui si sviluppa il conflitto e quindi le cause che lo hanno generato, dando coscienza alle parti del rispetto che esse devono alla loro dignità e della responsabilità che esse hanno verso la dignità degli altri sottoposti alla risoluzione del conflitto stesso;

4. che gli interessi delle parti saranno legittimi solo se sono utili all'incremento della qualità della vita, sempre incentrata a dare il massimo risalto allo sviluppo di valori e all'espressione qualitativa delle potenzialità umane.

 

 

        Possiamo dunque accedere ad una nuova civiltà in cui l'Uomo deve assurgere al ruolo di protagonista e ciò richiede una grande responsabilità da parte delle autorità politiche che, com'è ormai chiaro, gestiscono tutta la vita di milioni e miliardi di persone alle quali è stato riconosciuto il diritto alla vita e ad uno sviluppo sereno senza quella conflittualità che ormai deprime l'esistenza dell'intero Pianeta.
 

 

          Le autorità politiche degli Stati possono dare il via innanzitutto ad una riforma costituzionale del sistema, considerando la Costituzione un progetto il cui unico scopo è quello di consentire, nel tempo e nello spazio, la massima espressione delle potenzialità umane racchiuse nell'individuo biologico e che sono ormai scientificamente identificate in psicofisiche e spirituali.

 

 

          Tali potenzialità, per essere espresse, è necessario che siano conosciute sia dalle
autorità politiche che dalle istituzioni pedagogiche, scientifiche, economiche, sociali e culturali.

 

 

         Le funzioni pubbliche necessitano di una riqualificazione umanizzante nel rispetto della centralità dell'Uomo.
 

 

        Una trattazione particolare merita l'istituzione della giustizia all'interno degli Stati, poiché ad essa è affidato l'importantissimo compito della risoluzione di conflitti particolarmente rilevanti all'interno della società e della rieducazione di chi devia dalle norme giuridiche penali.
 

 

     Le strutture giudiziarie dovranno essere adeguate affinché nessuno soffra inutilmente e ognuno possa, attraverso il giudizio, comprendere i propri errori al fine di incrementare il proprio livello di coscienza.

 

 

        Le sanzioni civili e penali devono sempre tener conto della dignità umana.   

          Ogni attimo dell'indagine e del processo viola di fatto le libertà fondamentali dell'individuo sancite e tutelate dalle Costituzioni e, se da una parte i metodi in atto trovano ancora giustificazione nel caos e nella conflittualità sociale, dall'altra mettono in evidenza i limiti dello Stato nella conoscenza dell'Uomo, dei suoi valori, della sua dignità.
 

 

        Infatti, la ricerca e la valutazione delle prove molto spesso vengono lasciate
all'arbitrio di individui che, per preparazione tecnico-scientifica e coscienza dei valori umani, si trovano spesso lontanissimi dall'averli acquisiti.

       Ciò è dovuto soprattutto alle commissioni giudicatrici, anch'esse prive di strumenti di valutazione utili all'identificazione dei livelli di coscienza necessaria a esercitare la funzione di giudice, di avvocato, ecc.

 

 

         La giustizia non può essere e non sarà mai solo tecnica, poiché l'Uomo, come abbiamo detto, ha in sè una dignità che acquisisce con la nascita e lo scopo dello Stato è quello di far sì che egli possa prenderne coscienza, difenderla e tutelarla all'interno della società.

 

 

       La conflittualità sociale nasce, dunque, dalle violazioni dei diritti dell'Uomo commesse un po' da tutti per l'ignoranza, gli egoismi e la sete di potere che ancora imperano all'interno delle società, dove si prediligono interessi economici e di sopraffazione, con compromessi ed azioni contrari al senso di responsabilità che ognuno dovrebbe avere in obbedienza ai valori di una coscienza leale, onesta, coerente, giusta, mentre il valore tecnico della norma giuridica è spesso corretto in astratto, ma non contempla il dinamismo della realtà, per cui l'opera dei giudici e degli avvocati costringe la realtà stessa in quel tecnicismo a scapito della verità.
 

 

         Le scienze giuridiche, dunque, e i diritti umani devono essere integrati per dare un'unica visione dell'integrità psicofisica e spirituale dell'Uomo, del suo dinamismo e, soprattutto, del difficile processo che mette l'individuo a dura prova durante tutto l'arco della sua esistenza.

 

 

 



COMMENTI  CONCLUSIVI

 

        Una  sintesi analitica dell'evoluzione politica e culturale dei popoli mostra una forma di predeterminazione che porta gradualmente alla nascita della coscienza

umana, finalizzata a liberare l'Uomo dagli automatismi difensivi cerebrali che,
attraverso il conflitto, proteggono il capitale mnemonico, esperienziale, ricevuto dalla famiglia, dalla società e dalla storia.

 

 

          Da ciò emerge che, ancora una volta, natura non facit saltus, per cui si sprecano tante energie per ricercare colpe che allo stato attuale dell'evoluzione umana non hanno nessun valore per la risoluzione di problemi che impediscono il prosieguo della vita sulla Terra.
 

 

         Ricordiamo che il passato vive nel presente e predispone al futuro ed è quindi nel presente che dobbiamo risolvere i problemi, se vogliamo un futuro che sia degno di essere vissuto.

 

 

       Il metodo di approccio alla risoluzione dei conflitti deve essere scientifico, pluridisciplinare ed integrato, poiché la realtà concreta è dinamica ed interdipendente e per essere spiegata necessita di tutte le discipline scientifiche.

 

 

        Ciò che è disintegrato è proprio la conoscenza che si ha della realtà.

      La risoluzione dei conflitti e dei problemi richiede, dunque, una profonda conoscenza della realtà e non teorie astratte che non rendono giustizia alla verità.

 

 

         Il conflitto, come abbiamo visto, nasce proprio dalla mancanza di integrazione di ciò che è diverso da noi, per cui universalizzare la conoscenza pedagogica, psicologica, ecologica, economica e giuridica, finalizzandola alla comprensione della dinamica evolutiva umana, è la conditio sine qua non per una politica che liberi l'Uomo dalla schiavitù dei suoi condizionamenti che lo spingono a competere, combattere e rifiutare ciò che potrebbe essere analizzato, integrato e interiorizzato solo se la mente dell'Uomo venisse opportunamente preparata a ricercare valori ed esperienze sempre nuovi per un arricchimento continuo della propria coscienza.

 

 

       Occorre dunque predisporre l'Uomo, attraverso l'educazione, ad una ricerca continua di nuovi valori, tramite il confronto, senza quella difesa parossistica di schemi, modelli, nozioni, idee rinforzate e ripetute nel tempo come uniche verità esistenti.
 

 

           E' un problema di impostazione metodologica, che attraverso l'educazione
predisponga i cervelli a mantenere libere le funzioni percettive e integrative.

 

 

         Abbiamo visto che ciò è possibile solo ed esclusivamente con il metodo scientifico integrato, che analizza tutti gli aspetti dei fenomeni comprendendone la dinamica e risalendo alle cause che li generano.

        Per cui la ricostruzione scientifica, politica e culturale delle situazioni in atto rende giustizia alla risoluzione e alle parti.
 

 

       Le basi concettuali vanno ricercate nelle funzioni superiori del cervello umano e nelle caratteristiche fondamentali delle informazioni interagenti.                Tutto il resto è caos, con il quale ci evolviamo e dove il caso impera nelle varie situazioni conflittuali, da cui nascono drammi, sofferenze, guerre, anche fratricide.

 

 

       Non lamentiamoci, dunque, della catastrofe ecologica e umana in atto, se per risolvere i conflitti gli onesti applicano ancora il metodo della guerra per arrivare alla pace.

 

 

         Invertire questa mentalità significa studiare e comprendere come trasformare il principio di obbligatorietà in un principio di integrazione che porti alla risoluzione dei conflitti con giustizia, affinché nessuna delle parti in causa esca dal conflitto perdente, ma sempre vincente.
 

 

          Su questo invitiamo ad una riflessione ossia ci auguriamo che nessuno pensi che
la giustizia discrimini, soffochi, uccida.

     Per cui sarà giusta quella risoluzione che darà ad ognuno la possibilità di comprendere i propri errori e proseguire nella propria evoluzione verso l'autodeterminazione di ogni individuo della Terra, rendendo così sovrana la vita umana.

 

 

 

 

 



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