dna cervello coscienza consapevolezza educazione
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International Society of Neuropsychophysiology "Dal DNA il cervello, dal cervello la coscienza"
International Society of Neuropsychophysiology"Dal DNA il cervello, dal cervello la coscienza" 

 

 

L’intelligenza evolutiva per la soluzione dei problemi

 

Lezione tenuta dal Professor Michele Trimarchi  

al Corso di Antropologia Integrata

A.A. 2003/2004

 

Oggi parliamo della capacità di risolvere i problemi. Credo di centrare il bersaglio attraverso il metodo che vi propongo. Innanzi tutto, cosa sono i problemi. È un disastro, perché ognuno vive i problemi in maniera diversa. Ognuno ha problemi diversi. Ci sono problemi di ordine generale, che riguardano un po’ tutti, e ci sono problemi soggettivi, personali. Dalla mattina alla sera, la persona è soggetta a infinite situazioni, a cui non riesce a trovare le risposte immediate, per cui entra in agitazione e, da quel momento, inizia a cercare la soluzione del problema. Pare che l’umanità si sia evoluta attraverso questo sistema. Le persone hanno un problema e il fatto di doverlo risolvere migliora la capacità creativa di trovare le soluzioni ai problemi. Questo è un processo automatico del cervello, non è un processo che scegliamo o che sappiamo in qualche modo seguire con la coscienza perché abbiamo coscienza di come si affrontano i problemi. Nessuno ci insegna fin dalla nascita un metodo per affrontare e risolvere i problemi. E ognuno si viene a trovare continuamente in situazioni, che diventano dei problemi, diventano situazioni che creano ansie, angosce, tensioni. E questi sono già gli elementi essenziali, le caratteristiche di un problema che la persona è portata a vivere. Quindi, la risoluzione del problema non parte da una coscienza, da una consapevolezza che ti porta a dire “ecco, ho il metodo, adesso analizzo e valuto la situazione, trovo la soluzione e ho risolto”. La mancanza di un metodo ha portato, e porta continuamente, le persone a vari momenti, infiniti momenti che non lasciano una traccia cosciente all’interno della persona, in quanto non si è verificata la soluzione con un metodo o con una capacità di verifica reale di quella che dovrebbe essere l’analisi di un problema. Perché, normalmente, l’abbiamo detto un attimo fa, non si pensa che siano problemi, si pensa che siano sensazioni, ansia, angoscia, tutte cose che ci si ritrova dentro al cervello e noi spesso diventiamo vittime di quelle situazioni. E questo non è giusto. Non è giusto che l’essere umano si ritrovi a vivere giorno per giorno la propria vita con questi infiniti momenti, momenti piacevoli, momenti spiacevoli, drammi, tragedie, ansie, angosce, in un continuum nel quale scorre la vita, perché una reale costruzione, una reale coscienza nella persona non si è sviluppata. Si susseguono, così, cumuli di esperienze, che vengono utilizzate man mano che si va avanti. E così la persona va avanti utilizzando una sorta di “intelligenza”, intesa come utilizzo delle esperienze fatte per affrontare situazioni successive. Questo non è certamente il modo giusto di vivere la propria vita o di affrontare i problemi. E, in tal caso, non si può dire neanche che la persona possa assumere responsabilità di fronte ai problemi perché, senza una coscienza che agisce, sono i condizionamenti ad agire. Nessuno di noi vorrebbe mai avere un problema. Il cervello non vuole problemi, ma vuole che tutto scorra intorno, che tutto vada liscio, che tutto sia sereno. Questo non si verifica, perché la vita riserva continuamente “tegole” in testa, e così ci si attiva in qualche modo per risolvere nuovi problemi e così via. Questa è una realtà che il mondo intero vive ancora, ma che chiaramente non legittima la nostra dimensione umana, che dovrebbe in qualche modo vederci sempre capaci di avere consapevolezza e coscienza di noi stessi, ovunque ci troviamo, e non essere osservatori e vittime di quello che accade dentro al nostro cervello. I problemi li risolviamo, normalmente; problemi di salute, problemi che ci creano gli altri, problemi di ansia, problemi di pressione, di incomprensione, problemi di tutti i tipi. L’essere umano dalla mattina alla sera deve affrontare un’infinità di situazioni nel proprio cervello, cercando di tamponarle, più che altro; ma intanto, ve l’ho detto, non costruisce. Perché? Perché non ha un metodo. Non ha un metodo per affrontare queste situazioni che è portato a vivere dentro di sé. “Ho l’ansia, l’angoscia, sto male, mi viene questo, mi viene quell’altro…”. Quando mi si dice “Professore, ho l’ansia…”: che vuol dire? Se c’è l’ansia, ci sarà anche una causa che produce l’ansia. Di questo, non ne parla quasi mai nessuno. È raro. Dietro insistenza, piano piano, viene fuori che c’è una causa che produce l’ansia. Però, la persona, la prima cosa che mette bene in evidenza è il sintomo, perché è quello che disturba. Se non ci fosse questo disturbo, uno magari non farebbe neanche caso ai pensieri che viaggiano nella testa.  Invece l’ansia costringe la persona a preoccuparsi del proprio stato, del proprio malessere; oppure costringe ad andare a verificare che cosa si sta pensando, che cosa le sta accadendo. Noi, come facciamo ad accorgerci che esistiamo? Voi, come vi accorgete di esistere, come vi accorgete che esistete? Perché vi arriva qualche problema addosso? Perché arriva qualche segnale? Fin da piccoli, non vi insegnano ad essere presenti nel vostro cervello in modo da gestire, da quel momento, la vostra vita in modo continuativo, sempre presenti a voi stessi, alla ricerca di un qualcosa che voi ritenete giusto. No, si va avanti con queste situazioni; quando capitano le tegole in testa, poi, si salvi chi può; ognuno pensa a salvarsi in proprio, a evitare sofferenze per sé stesso; non tiene conto delle cause che le hanno provocate; non si individuano di solito le fonti, che in qualche modo sono quelle che provocano stati di malessere; si cerca di eliminare possibilmente le fonti e non il problema che nasce. Questo modo di “risolvere” i problemi non è quello giusto. Qualsiasi cosa possiamo sentire dentro di noi come problema, dovremmo avere un metodo che ci permette di verificare le origini del problema. E dovremmo capire anche come attivarci per risolverlo. Mentre, normalmente, ci sono le consuetudini, ci sono gli schemi, i modelli di riferimento, ci sono i vari “come ha fatto la nonna”, “come ha fatto la mamma”, “come ha fatto la zia”, “come ha fatto la società”, “come ha fatto quello”, “come ha fatto quell’altro”. Non cerchiamo mai un metodo nostro che ci permette di individuare esattamente tutti gli elementi del problema per poterlo risolvere. Quindi, si va avanti per esperienza. Un’esperienza ha portato a risolvere in quel modo quella cosa e quindi proviamo a ripeterla. Mentre noi non dovremmo mai fare prove. Ma, quando non facciamo le prove? Quando riusciamo a individuare la patologia del sistema, il problema reale, da dove nasce, le cause che lo generano. Se individuiamo le cause che lo generano, possiamo intervenire sulle cause e lì dovremmo risolvere il problema. Mentre noi, non solo non individuiamo le cause, ma non risolviamo nemmeno il problema. Lo tamponiamo, ci cerchiamo un alibi e, attraverso queste situazioni, pensiamo di risolvere. Quindi, non risolvendo, ma tamponando, accumuliamo situazioni che non sono giuste per il nostro cervello, per la nostra evoluzione, per la nostra coscienza, e alla fine ci ritroviamo con una marea di esperienze non capite, non vissute, che non sono state in qualche modo utili per farci capire. Quante volte, per esempio, si ha mal di testa e, non capendo quale sia la causa, non si evita che si possa ripetere? O quante volte uno si arrabbia con un’altra persona e impara da quella situazione per capire come prevenire quella arrabbiatura? Tutto avviene automaticamente, più che altro. E questa automaticità di fatto non va bene, non ci rende certo coscienti del nostro vivere quotidiano e, soprattutto, protagonisti della nostra vita. Per cui, è necessario sempre e comunque acquisire in metodo che ci permetta di indagare, di cercare e trovare la causa che genera le situazioni. Quale dovrebbe essere questo metodo? Il metodo dovrebbe essere sempre finalizzato a una presa di coscienza di sé stessi. Ognuno dovrebbe capire cosa significa diventare pilota del proprio cervello, ovvero pilota della propria vita. Come si diventa piloti del proprio cervello? Acquisendo consapevolezza che si può comandare il proprio corpo, le proprie mani, i propri piedi, le proprie memorie, tutte le attività che si vogliono svolgere attraverso i propri organi di senso. Ovvero, io sono pilota se so gestire questo mezzo che ho a disposizione, con tutte le potenzialità che ha. Attraverso questo mezzo, io posso già identificarmi sia nello spazio che nel tempo. Se io parto da questi principi, da questi valori, io posso sempre e comunque riconoscermi in me stesso, o in me stessa, e iniziare a fare progetti, a decidere la mia vita, all’interno delle opportunità o possibilità che posso avere. Se inizio a prendere coscienza di queste potenzialità che ci sono, che io ho a disposizione… Perché il pilota ha a disposizione il proprio cervello, il proprio cervello ha a disposizione una storia, una vita, una famiglia, un ambiente e tutto ciò che eredita dalla famiglia; e poi può progettare altro, a seconda di quello che decide sia la cosa più utile, più giusta da realizzare, da fare, eccetera, ricercando anche tutto ciò che dà poi il piacere di vivere. Ma, per questo, dovremmo essere sempre ben consapevoli e coscienti di avere a disposizione i nostri organi di senso, di avere a disposizione il nostro cervello, di avere a disposizione il nostro corpo, per osservare, per ascoltare, per vedere, per non vedere, per non sentire, per non fare o per fare, nella consapevolezza che dobbiamo sempre e comunque decidere noi. Quindi, dovremmo essere sempre vigili e attenti, qui, dentro al nostro cervello. E capire quello che ci serve, quello che è utile, quello che non è utile. Quello che ci piace ed è utile: bene. Quello che ci piace e non è utile: non va bene. L’utilità in che cosa consiste? Consiste in tutto quello che, in qualche modo, migliora il mio stato, la mia performance, le mie capacità di espressione, che mi dà la serenità di vivere, che mi arricchisce, che mi fa conoscere sempre di più e meglio l’ambiente in cui vivo, me stesso, gli altri, affinché possa sempre più scambiare con gli altri, con l’ambiente e scambiare qualcosa che mi dà il piacere di vivere. Il problema dove nasce? Il problema nasce sempre dall’ignoranza, dall’incoscienza. Perché noi, ogni volta, andiamo a toccare situazioni o a fare cose che producono reazioni, che ci arrivano addosso e ci producono malesseri e problemi. Se vado a dire certe cose a un’altra persona che ho vicino, inconsapevolmente vado a toccare delle leve che scatenano reazioni, e queste reazioni scatenano poi il problema. Quindi, è un discorso che parte sempre e comunque da una coscienza e conoscenza che noi abbiamo di noi stessi e dell’ambiente in cui viviamo. Noi, dovremmo essere sempre capaci di prevenire i problemi, evitando che nascano a nostra insaputa. La capacità di risolvere i problemi passa attraverso la consapevolezza di quelle che sono le proprie potenzialità, i bisogni, le proprie esigenze, le proprie necessità, che devono collimare quelli che sono bisogni innanzitutto fisiologici, quelle che sono le necessità fisiologiche. Non solo cibo, aria, acqua, ma anche tutto quello che attiene al nostro benessere psicofisico ed anche spirituale. Questo dovrebbe essere un cammino evolutivo graduale che dovrebbe vederci sempre presenti in noi stessi, in maniera tale da progettare tutto ciò che ci arricchisce e ci permette di esprimerci con queste nostre potenzialità. Questo è un modo di crescere in proprio, di riconoscersi in sé stessi, muovendosi gradualmente verso il dialogo con tutto e tutti, in maniera tale da sentirsi bene, da avere la capacità di affrontare e risolvere tutti i problemi che possono arrivare continuamente. Noi cresciamo in ambienti fortemente squilibrati, dove hanno fatto già tutto ed ereditiamo tutto. Ereditiamo prima la vita biologica e poi ereditiamo anche tutto il caos che abbiamo intorno, oppure tutte le cose buone che ci sono intorno. Per cui, ci ritroviamo a vivere cose che, in effetti, noi non abbiamo cercato, non abbiamo mai voluto. E il nostro cervello si riempie di tutte queste cose, costringendoci a vivere in un determinato modo. Ecco perché, qualche lezione fa, vi dicevo che è necessario fermarsi un attimo e cominciare a capire che la vostra vita la dovete vivere voi, cominciando a identificare le cose intorno a voi, decidendo quali sono le cose che vi interessano, mettendo da parte quelle memorie che continuano a rompere le scatole schiavizzando l’essere umano. È l’unico modo che abbiamo per uscire da questa situazione. Questo retaggio che ci portiamo dietro fin da piccoli fa lavorare il nostro cervello in modo automatico, non più fisiologico, sulla base di quei condizionamenti che abbiamo subìto. Sulla base di quelli, poi noi comunichiamo con gli altri, oppure abbiamo delle esigenze da noi stessi e dagli altri. Invece, dobbiamo arrivare a un punto da cui noi non vogliamo proprio più niente, semmai vogliamo scambiare con gli altri. Scambiare con gli altri presuppone che nello scambio ci guadagniamo tutti. Se ci devo guadagnare solo io, non è più uno scambio con gli altri. Scambiare con gli altri significa, appunto, mettere insieme le proprie energie, le proprie esperienze, la propria ricchezza e godere tutti insieme, ognuno per proprio conto, ma sempre consentendo anche agli altri di partecipare e di avere il piacere di vivere. Per cui, è necessario trovare dentro di sé questa consapevolezza per potersi muovere nell’ambito del tempo e dello spazio e della propria vita, consapevolmente, sapendo cosa si fa e cosa si vuol fare, in modo tale da assumere quelle che sono le responsabilità. Finché non siamo in grado di essere consapevoli di ciò che vogliamo fare, di quali sono le difficoltà, come facciamo ad assumere le responsabilità? Di solito, ci ritroviamo le responsabilità senza averle mai assunte. E questo ci costringe anche a non desiderare di avere i problemi, perché sono problemi che non abbiamo scelto. Mentre io posso scegliere di affrontare dei problemi e risolverli, consapevolmente. Quindi, non mi lamenterò e avrò gli strumenti per poter affrontare quella data situazione, perché ritengo di averli e quindi la affronto. Per realizzare questo, è necessario avere consapevolezza della propria esistenza, della propria vita. La mia vita appartiene a me, la gestisco io, verifico tutto quello che desidero, che sento giusto, tutto quello che posso realizzare nel mio habitat, e se dovrò farlo insieme ad altri, darò coscienza agli altri del mio progetto, se può essere utile agli altri e se lo condividiamo e lo possiamo realizzare insieme; ma ognuno deve sempre e comunque fare sempre la propria parte e vivere in proprio la propria parte. (che poi dovrebbe integrarsi con quella degli altri). Quindi, il problema nasce sempre dalla confusione, dalla non chiarezza, dalla non capacità di progettare la propria vita giorno per giorno. Il problema nasce da queste situazioni, nasce dall’incoscienza e dall’ignoranza che si hanno dei processi che noi ci troviamo a vivere e ad affrontare, dagli automatismi. E quando poi ci si trova dentro a questi problemi, si salvi chi può, perché ognuno, intanto, ritiene di avere ragione, se si arriva a litigare per chi ha creato il problema, il problema l’ha creato sempre l’altro. Ognuno cerca sempre di sfuggire alla responsabilità perché, di fatto, è vero: non si sceglie liberamente di creare un problema o di offendere qualcuno. I problemi diventano poi conflitti, i conflitti diventano poi lotte, liti e così via, i malesseri poi si accumulano e si va avanti così. Per cui, bisogna sbrigarsi ad acquisire consapevolezza di come gestire la propria esistenza, cercando di capire bene chi siamo, che cosa desideriamo. In ogni momento, noi dovremmo mantenere questo tipo di consapevolezza. Non possiamo andare a spasso, aspettando che qualcosa ci piaccia o non ci piaccia, la si voglia o non la si voglia. No, ogni cosa che noi desideriamo realizzare, costruire, portare avanti, dovremmo averla chiara dentro di noi, dovremmo sempre e comunque progettare con chiarezza le situazioni, la nostra vita. Se parliamo con qualcuno, dobbiamo sapere bene che cosa stiamo dicendo e per quale scopo, per quale fine. Altrimenti rischiamo di non farci capire. Il pour parler non serve a niente. Non ha significato, possiamo stare anche zitti. Quindi, prevenire i problemi è compito di ciascuno di noi. Se ci mettiamo a discutere di qualcosa di cui non siamo competenti, di cui non abbiamo coscienza, o ce lo diciamo prima, “non siamo competenti”, “non abbiamo coscienza”, discutiamone pure, ma che nessuno provi a imporre le proprie idee agli altri. Si può discutere di tutto, ma ognuno deve esprimersi bene, deve chiarirsi bene, non deve poi pretendere che le proprie idee, le proprie opinioni diventino verità per tutti, senza avere la capacità di dimostrare la verità di ciò che si afferma. Così come pretendiamo questo da noi stessi, poi allo stesso modo dobbiamo pretenderlo dagli altri.  Se riusciamo ad avvicinarci un po’ ad un metodo di questo tipo, miglioreremo certamente la nostra capacità di comunicare, di scambiare, la nostra qualità di vita, la nostra esistenza. Dobbiamo prevenire la nascita dei problemi. Per prevenirli, è necessario progettare bene la nostra vita, giorno per giorno, dobbiamo essere in grado di sapere già a priori che cosa andiamo ad affrontare, cosa vogliamo costruire, cosa vogliamo realizzare. È necessario saperlo bene, perché lo decidiamo. Questo, credo sia un argomento un po’ difficile, vedo le vostre facce. Ma non è tanto difficile, se pensate a quanto già abbiamo spiegato su come lavora il cervello, sulle dinamiche interattive. Noi stiamo affrontando adesso un problema che riguarda proprio tutti, ma proprio tutti: il problema di come noi viviamo i problemi. Per il nostro cervello, ve l’ho detto prima, tutto è un problema.  E lui, dopo che ha sviluppato certe forme di condizionamento, non è più in grado di risolvere i problemi. Perché, man mano che cresce, archivia tutte le cose che gli sono successe e come le ha risolte. E adotta sempre i metodi che già ha usato.  Questo non aiuta, certamente, a trovare la soluzione, l’abbiamo detto prima. Quindi, occorre un metodo scientifico che sia valido per tutti. Quando affrontiamo qualcosa, quando qualcuno ci sottopone un problema, ripeto, quando qualcuno dice che ha l’ansia, o quando qualcuno sta male, noi dobbiamo essere capaci di arrivare alla fonte che ha prodotto quella situazione. Questo, sia che accada dentro di noi, sia che accada agli altri. Dobbiamo liberarci da quegli stereotipi comportamentali che ci portavano a sfuggire gli altri quando hanno i problemi, o che portano gli altri a sfuggirci quando noi abbiamo i problemi. Sia che è un problema nostro, sia che è degli altri, dobbiamo semplicemente imparare a cercare le cause. Ve l’ho detto prima come si cercano le cause: attraverso la capacità di identificare le cose per quelle che realmente sono. E capire bene che esiste sempre un principio di causa/effetto, capire bene che non può esistere qualcosa che non sia stato provocato da un’altra cosa. E non bisogna mai essere superficiali, dicendo “questo non mi interessa”, “questo riguarda me”, “quell’altro riguarda l’altro”: se due cose sono connesse, riguardano sempre noi. Quindi, per affrontare e risolvere un problema, dobbiamo essere capaci di scoprire le variabili che l’hanno prodotto, le cause che l’hanno prodotto. Ci riguarda? Non ci riguarda? Se è un problema che sentiamo dentro di noi, che abbiamo provocato noi, che produciamo noi, in qualche modo ci riguarda. Se il problema lo producono gli altri e ci arriva addosso, noi possiamo anche evitarlo, decidere che non ci riguarda, che non è un problema nostro. Ma se si tratta di persona con cui viviamo insieme, ci conviene darci da fare per aiutare, collaborare e risolvere quei problemi, altrimenti la situazione non risolta ci arriva addosso. In un modo o nell’altro, dovremmo sempre e comunque partecipare alla risoluzione dei problemi, dei conflitti. Ma sempre con metodo, sempre ricercando le cause, non attribuendo le colpe o togliendo le colpe, né attribuendo, né togliendo, si cercano le cause dei problemi, semplicemente. Quindi, occorre stare sempre in allerta nel proprio cervello, per identificare il proprio percorso di vita ed essere sempre consapevoli di quello che si vive, di quello che si va a realizzare. Se siamo presenti dentro al nostro cervello, i problemi non dovrebbero arrivarci perché, non appena si presenta qualche segnale che ci disturba, possiamo individuare le fonti di quei segnali. Individuando le fonti, possiamo sempre dire se ci interessa o se non ci interessa, se è una cosa che ci riguarda o che non ci riguarda, se sono problemi degli altri o sono problemi nostri. Ognuno di noi deve rimanere libero in sé stesso, se vuole risolvere i problemi. Perché se ho già un problema addosso e non so da che parte mi arriva, è difficile che io possa capire la fonte, perché l’ansia, l’angoscia bloccano e impediscono poi di usare il proprio cervello nella maniera corretta. Andando avanti in questo discorso, è necessario che ognuno si chiarisca bene chi è, da dove viene, dove va. È necessario chiarirsi bene queste cose. Siete tutti felici? Questa è la prova del nove. Siete felici? Chi è felice alzi la mano. La felicità dovrebbe essere quel senso di consapevolezza che ti porta a sapere chi sei e dove stai andando. La felicità nasce da questo. Io posso avere l’angoscia, l’ansia per uno sforzo che sto facendo per raggiungere un obiettivo, ma sono pienamente consapevole di ciò che sto facendo e sono felice. La felicità nasce da questo. Non è l’entusiasmo. L’entusiasmo si prova in un attimo e poi, in un altro attimo, c’è la disperazione: quello non c’entra con la felicità. La felicità è consapevolezza di sé. Per questo sto facendo queste domande. Ho impostato inizialmente il discorso, guardando tutti voi negli occhi, per vedere quanto riuscivo a farvi capire questo concetto, che è talmente grosso… Perché è un discorso che, di fatto, porta a questa domanda. Se voi avete capito quello che ho detto, inizialmente dobbiamo porci nella condizione di riconoscere che siamo unici e irripetibili, che abbiamo la nostra unicità, la nostra presenza. Al di là dell’età biologica, dovremmo essere presenti in coscienza nel nostro cervello, sapendo che stiamo vivendo la nostra vita e che siamo padroni di questo mezzo che è il nostro corpo. In più, se abbiamo progetti dentro di noi che stiamo realizzando e stiamo portando avanti, con questa consapevolezza non possiamo che essere felici. Tutto il resto riguarda le componenti dell’umore, non della felicità, dell’umore. Il nostro umore, dalla mattina alla sera, è soggetto ad alti e bassi, passa da momenti di gioia o di euforia a momenti di disperazione, di nulla, di apatia. Ma quelle sono le oscillazioni dell’umore.  La felicità può nascere solo dalla consapevolezza. Questo, l’ho precisato subito. Sono sicuro che voi, i frutti di questo lavoro, li state raccogliendo già da tempo. Siete felici? Siete consapevoli di voi stessi? Avete chiarezza del vostro percorso da seguire? Avete dentro di voi la chiarezza di seguire un percorso ben preciso? Ognuno di voi, ha coscienza di sé, di essere presente, in questo momento, in questa dimensione, con le sue potenzialità, le sue possibilità, il suo progetto? E allora, che altro vi posso dire? Che altro volete dire? E che altro vorreste in questa dimensione? Non credo che molti possano dire queste cose. Sono molto poche le persone che possono dire queste cose. Dico questo, perché vi conosco. Lo preciso solo per questo. Conosco la vostra vita e conosco la vostra strada. È questo il senso della felicità. La felicità non si contrappone alla disperazione. È questo, quello che vorrei far capire.  È che non esiste la felicità come viene comunemente intesa, con momenti di gioia, di armonia immensa. Quelli fanno parte dei vari momenti dei nostri percorsi esistenziali, che possono essere vissuti in consapevolezza oppure percorsi in cui ci troviamo a camminare su varie strade, dove possiamo trovare un momento di armonia, possiamo trovare un momento di gioia, così come possiamo trovare momenti di angoscia o di disperazione. Quindi, se siamo alla guida del nostro potente mezzo che è il cervello, sappiamo anche come indirizzare noi stessi verso la realizzazione evolutiva della nostra coscienza. Per cui, anche se ho delle difficoltà in salita o in discesa, so sempre dove sono, la bussola funziona bene e il mio orientamento va bene, perché sto percorrendo una strada che mi permette di raggiungere certi stati evolutivi. Per me, questo è il massimo della felicità che si può realizzare sul pianeta Terra. Non ci può essere, in questo momento su questo pianeta, una concezione diversa della felicità, altrimenti spiegatemela voi perché io sarò felice di ascoltare. Da non confondere la sofferenza con l’infelicità. È un problema di chiarezza. Si soffre per gli altri perché si è felici, altrimenti si soffrirebbe per sé.  Sembra un po’ un gioco di parole, ma non lo è, se ci pensate bene. Chi può soffrire per gli altri? Chi ha raggiunto uno stato di coscienza tale che per sé potrebbe essere solo felice e basta. Se non ci si fa carico delle sofferenze degli altri, non si soffre, si ha chiarezza, perché si dovrebbe soffrire… Spesso ci si deve far carico necessariamente degli stati di sofferenza intorno a sé. In quel caso, la persona, se si dedicasse a sé stessa e basta, non potrebbe che essere felice. Ma com’è possibile chiudere il nostro cervello e non vedere le disarmonie che ci circondano? Possiamo farlo un momento, ma poi noi siamo anche esseri sociali, anche esseri umani e dobbiamo vivere in contatto con la società. Noi possiamo avere grandi momenti di “religiosità”, con noi stessi, con la vita e con tutto quello che la vita stessa ci può dare, ci può offrire; però poi non possiamo isolarci pensando che tutto il resto non esiste. Esiste, eccome. Intanto, realizziamo il progetto di vita per noi stessi. E, nel progetto di vita per sé stessi è già implicito che, man mano che si realizza, si è utili anche agli altri. Perché non si può vivere da soli. Se lo facessimo, sarebbe una scelta difficile, no?  Alcuni se ne vanno in cima alle montagne e stanno lì, fanno gli eremiti. Ma sono scelte che non hanno senso, per me. Noi siamo esseri sociali, innanzitutto siamo maschi e femmine, e dovremmo essere insieme tra uomo e donna; poi, se possiamo, dovremmo dialogare con gli altri e crescere insieme. Laddove non ci sono esseri umani, per me quel posto non esiste sul pianeta Terra, non ho piacere di stare in un posto dove non ci sono esseri umani. È una cosa che ho sempre sentito così. Poi l’ho capita. Ma l’ho sempre sentita così.  Laddove vedo deserto, non mi interessa. Non godo nel percepire la Natura o tutto il resto se non vedo essere umano. Perché noi siamo innanzitutto esseri umani. Se ognuno si rendesse conto quanto sia importante capire sé stessi, avere davanti una strada chiara davanti a sé, anche se irta di difficoltà, di blocchi e di tutto il resto, ma con le idee chiare sull’orientamento da perseguire, per me questo già è il massimo. Mi trovo continuamente in situazioni, oserei dire, drammatiche nell’osservare questa umanità che vive totalmente nel buio più profondo di questi Valori…

Mi trovo spesso in situazioni istituzionali, in cui si parla di diritti umani.  Percepisco quanto si sia lontani, lontani mille anni luce da quello che stiamo dicendo qui. Ho sentito parlare i presidenti di tante organizzazioni che si occupano di diritti umani e ho scoperto che i diritti umani, non sanno proprio cosa siano. E dopo aver sentito tutti, alla fine parlo io. E potete capire che cosa gli spiego, che cosa dico. Altrimenti, si costruiscono grattacieli senza le fondamenta. Mancano le fondamenta dei diritti umani. Quali sono le fondamenta? Sono i diritti universali. I diritti universali. Le fondamenta dei diritti universali sono di tutti gli uomini della Terra. E sono già biologici, genetici, preesistono alla società. La dignità è un valore che noi dobbiamo riconoscere alla persona, al di là di quanto le legge preveda o non preveda. Perché la legge, che lo preveda o che non lo preveda, è fatta dagli uomini, e noi verifichiamo solo quanto quegli uomini sono ignoranti o meno. La vita va sempre e comunque rispettata. Ma, il rispetto della vita non significa che noi condividiamo deformazioni o contorsioni mentali che possono in qualche modo diventare poi sociali, perché vogliono che vengano riconosciute dalla legge. Se si nega la Natura, se si nega la fisiologia, se si nega la realtà naturale, come può questo essere un diritto universale? O un diritto umano? Poi, si separa tutto tra diritti dei bambini, diritti degli adulti, diritti degli anziani, diritti della donna… Comprendete che non hanno capito proprio che cosa sono i diritti umani? Bisogna pianarla di fare i palazzi senza le fondamenta. Sono costruzioni che non si reggono su nulla. Occupiamoci dell’alfabetizzazione dei diritti fondamentali. Tengano conto della nostra proposta che è, innanzitutto quella dell’educazione, che è anche quella prevista dall’ultima conferenza fatta nel ’93 a Vienna, dove tutti abbiamo parlato e siamo arrivati alla conclusione che occorre educare ai diritti umani, educere, dare coscienza, creare la coscienza. I diritti umani passano attraverso quello che vi ho detto qui: se ognuno di voi non ha coscienza di sé e di quali sono i valori in cui si riconosce, ma come fa a capire i diritti umani? Ognuno di noi esprime i diritti umani, ce li ha già dentro. Però, ne deve prendere coscienza. E solo attraverso il prenderne coscienza si possono risolvere i problemi in maniera giusta, in maniera corretta.  Attraverso l’uso di questa conoscenza, noi possiamo risolvere i problemi che nascono con gli altri. Basta con il dire “questa è la mia idea e tu la devi rispettare”: io non la posso rispettare, se la tua idea offende la tua stessa dignità e la mia! Basta con l’interesse falso verso le opinioni, se queste offendono la dignità di chi le esprime. Posso anche arrivare a rispettarle, ma di certo non le condivido. Il mio compito, il mio dovere è metterlo bene in evidenza, se voglio essere utile e positivo, visto che voglio portare avanti un discorso sui fondamenti dei diritti umani. Ognuno di noi deve avere coscienza di sé e dei valori in cui si riconosce. In quali valori vi riconoscete? Quali sono i valori in cui vi riconoscete? La dignità, abbiamo detto cos’è. La libertà, la giustizia…  Ma sono tutti processi che si sviluppano dentro di noi attraverso la presa di coscienza di quello che dicevo prima. La libertà è un processo personale, attraverso il quale io posso conoscere. Più conosco, più sono libero. Mentre, ti solito si pretende di essere liberi senza conoscere, perché lo dice la legge! Ma questo non ha significato, perché se si è ignoranti, se non si è capito che significa libertà… libertà significa che prima vi devo conoscere tutti, devo capire profondamente che cosa significa avvicinarmi a voi, devo capire profondamente che cosa significa avere rispetto di tutti voi. Se io non capisco che cosa significa avere rispetto di tutti voi, come faccio io a essere libero in mezzo a voi?  Se la persona sviluppa questo tipo di coscienza e di consapevolezza, in qualche modo sarà capace anche di risolvere un problema, di prevenire i problemi o di assumersi la responsabilità delle proprie azioni, di ciò che fa, di ciò che dice, perché ha la possibilità di chiarire, anche, il problema in atto. Quindi, noi possiamo parlare di felicità, di libertà, di dignità, di valori, a condizione che ognuno di noi sia consapevole di sé stesso, che ognuno di noi sia capace di relazionarsi a sé stesso e agli altri, a identificare i propri pensieri e a capire cosa si sviluppa nel proprio cervello, a vedere come comunicare con gli altri, a scambiare con gli altri, a capire come progettarsi giorno per giorno la propria vita, in maniera piacevole, armonica, a capire come scoprire il mondo, come conoscere il mondo sempre di più e meglio. Questo è il processo fisiologico che consente a ciascuno di affrontare e risolvere i problemi.