dna cervello coscienza consapevolezza educazione
dna cervello coscienza consapevolezza educazione
International Society of Neuropsychophysiology "Dal DNA il cervello, dal cervello la coscienza"
International Society of Neuropsychophysiology"Dal DNA il cervello, dal cervello la coscienza" 

Messaggi inquietanti giungono quotidianamente alle menti degli onesti. Ciò crea nell’essere un tumulto di emozioni, rabbia, reazioni. Poi tutto si placa e si va alla ricerca di una soluzione possibile. Nella maggior parte dei casi la complessità dei problemi porta alla rinuncia.

Per converso abbiamo i meno onesti, protesi a difendere i loro pseudo – interessi che, avvolti in glaciali schermi, producono continui alibi per tacitare le proprie coscienze.

L’onestà, priva di conoscenza, equivale ad un uomo disarmato di fronte ad un nemico agguerrito ed armato.

La disonestà crea, di fatto, problemi umani, sociali ed ambientali, per cui la nostra attenzione dovrà essere rivolta, per trovare risposte agli inquietanti problemi del nostro tempo, ad una conoscenza permeata di onestà.

Questo breve preambolo serve da stimolo per una riflessione, prima di addentrarci in una problematica così vasta e difficile come quella della violenza “sui minori”. Infatti abbiamo già problemi terminologici quando diciamo “minori”, poiché tale termine, stabilito per convenzione dal diritto positivo, di fatto non rende giustizia all’essere umano nella sua unicità evolutiva che, a nostro parere, è ancora da comprendere.

E’ giusto sancire i diritti dei minori, ossia dei bambini e degli adolescenti, è sacrosanto tutelarli, così come è giusta la pena per chi vìola tali diritti; ma la pena non è sinonimo di punizione, di coercizione. Pena è sinonimo di sofferenza: la giustizia dovrebbe dare coscienza all’individuo di aver violato un diritto altrui e l’individuo, prendendo coscienza dell’errore commesso, soffre, impara e, di fatto, cresce nella sua evoluzione umana e sociale.

Purtroppo, per una serie di incongruenze che approfondiremo più avanti, la giustizia è quasi sempre assente dai tribunali e viene sostituita, il più delle volte, da una specie di “commedia”, dove gli attori recitano attraverso i propri ruoli un dramma che si consuma a detrimento di coloro che ancora credono nella giustizia umana.

La violenza sui bambini, sui più deboli, sugli anziani, crea ancora risentimento in coloro che non hanno subìto l’inquinamento psichico dell’indifferenza.

Ma, come dicevamo, ciò non è sufficiente a dare contributi utili a combattere la violenza, poiché essa, sotto varie forme, convive con l’essere umano fin dalla nascita. Ognuno, quindi, è la misura delle proprie esperienze che sono sempre diverse e, come tali, non possono fornire un dettato univoco.

Neanche la scienza ha sviscerato adeguatamente la psicopatologia della violenza, altrimenti il legislatore avrebbe maggiori strumenti per codificare leggi adatte a prevenire gli “attacchi” di violenza non solo sui bambini e sugli adolescenti, ma anche sugli adulti e gli anziani. Infatti le varie proposte di legge, nonché le leggi vigenti, altro non sono che la “frusta” del domatore di leoni la quale, schioccando nell’aria, dovrebbe porre i leoni stessi in uno stato di coercizione o inibizione che consente al domatore di conservare il potere su di essi.

Ma lo Stato non è un domatore di leoni, né tanto meno sono leoni la donna e l’uomo, poiché la democrazia ha sancito la dignità della persona, la sovranità dell’individuo, nonché la centralità dell’Uomo in tutti i suoi aspetti sociali.

Di fatto ogni legge, essendo di per sé coercitiva è non “educativa” come dovrebbe essere, contrasta con i principi sopra menzionati.

Se vogliamo affrontare con passo sicuro i problemi di giustizia, dobbiamo cominciare ad eliminare le contraddizioni che esistono all’interno delle leggi e della loro applicazione.

E’ mera illusione pensare che sia sufficiente una legge per “risolvere” problemi di così vasta portata. La legge, in teoria, legittima o inibisce i comportamenti sociali, ma non rende giustizia alle cause che li determinano. E’ un po’ come una pillola che tenta di curare gli effetti ma non elimina le cause della malattia, creando inoltre effetti collaterali a volte assai dannosi per il sistema organico.

Con questo non vogliamo affermare che le leggi non siano utili, ma che occorrono leggi preventive, mentre sappiamo che il legislatore opera maggiormente sul contingente, ossia quando il fenomeno ha raggiunto il suo acme.

Il bambino e l’adolescente, non possono infatti prescindere dalla vita degli adulti: potremmo addirittura affermare che i bambini e gli adulti sono in un unico calderone e quando la pentola bolle è inevitabile che tutti gli elementi ivi esistenti subiscano scossoni.

Gli scossoni, dunque, li subiamo tutti, nessuno escluso; il peggio è che ognuno cerca di attribuire colpe agli altri. Ma chi sono i veri colpevoli di questa situazione? “Chi è senza colpa scagli la prima pietra”.

In questi ultimi tempi la cronaca dà maggiore rilevanza al fenomeno della violenza sui minori e molti si chiedono se è una recrudescenza, un fenomeno occasionale o l’esplosione di una situazione latente che ha trovato, oggi, nell’allentamento delle difese sociali, la possibilità di manifestarsi.

Lo status fenomenologico, amplificato dai “media”, indica una realtà degenerativa che vede protagonista una patologia sociale che, epidemiologicamente, si diffonde su tutto il pianeta.

Dobbiamo, dunque, ammettere che l’evoluzione umana spinge le società di tutto il mondo verso compressioni genetiche dalle cui pulsioni si genera nuova linfa per le coscienze, atta a trasformare modelli consolidati di condizionamento collettivo verso l’autodeterminazine dell’individuo, la cui dignità non è più nel modello sociale di cui fa parte, ma nel “progetto” cromosomico che lo determina nel tempo e nello spazio.

La politica del contingente, come tutti avranno compreso, non risolve totalmente i problemi, poiché il feed – back tra Stato e società è attualmente entropico, per cui qualsiasi azione dello Stato sulla società “favorisce” un incremento di entropia. Infatti la richiesta di giustizia da parte dei cittadini non è conforme al comportamento dei richiedenti: ognuno pensa sempre che siano gli altri a sbagliare.

Le istituzioni dovranno assumere la responsabilità della disfunzione esistente tra i principi costituzionali e la loro attuazione pratica e interrompere questa dicotomia con un’analisi profonda della realtà oggettiva, comparata, integrata e posta a specchio dei succitati principi. I responsabili devono trarre delle conclusioni ed eventualmente modificare la “teoria costituzionale” per adattarla a quel diritto naturale le cui leggi spazio – temporali, pur “limitando” la libertà di alcuni esseri nel loro divenire, di fatto rendono giustizia alla società in toto.

Il legislatore, a questo punto, non deve essere solo un tecnico del diritto, ma un “saggio” che trae insegnamenti dagli errori e agisce in funzione di quei principi naturali che tendono comunque a promuovere, nei singoli, livelli di coscienza sempre più elevati. E’ chiaro che per far ciò egli non deve far regredire le tendenze democratiche della società per mezzo di maggiori livelli di coercizione. Tutti si saranno accorti, infatti, che un tale metodo non solo non è funzionale, ma rischia di superare i limiti del condizionamento inibitorio cerebrale, oltre il quale la collettività dilaga in forme di devianza sempre più sofisticate, tanto da non essere poi contenibili da uno Stato democratico.

Attenzione, dunque, poiché siamo ai limiti della saturazione cerebrale, sociale, oltre la quale lo Stato dovrà dichiarare l’impossibilità di risolvere i problemi democraticamente e, di conseguenza, entrerebbe in gioco lo stato di emergenza. Come tutti sanno, l’emergenza penalizza lo Stato democratico accusandolo di inettitudine, d’incapacità e, soprattutto, di aver fatto il passo più lungo della gamba, ossia di aver sancito principi democratici senza poi trasferirli, con opportune strategie, nelle coscienze dei cittadini.

La sostanza del leader politico dovrà essere messa in luce dalle sue capacità di contenere i fenomeni e di promuovere sempre e comunque una giustizia sociale capace di abolire, in ultima analisi, le lotte tra maggioranze e minoranze che, come è noto, sono state sempre gli elementi promotori di gravi squilibri sociali, poiché le minoranze si organizzano nel tempo per diventare maggioranza. Ciò ha caratterizzato da sempre l’evoluzione politica della società, per cui è da considerare un problema evolutivo che dovrebbe oggi essere superato dai Diritti Umani sanciti sin dal 1948 dalle Nazioni Unite e recepiti dalle varie Convenzioni del Consiglio d’Europa e della Comunità Europea. Si compirebbe così un passo in avanti verso la concretizzazione dei principi che sanciscono a livello costituzionale la dignità della persona, principi che teoricamente vengono condivisi dai cittadini di tutte le Nazioni.

Fin dagli albori della civiltà gli esseri più deboli, tra cui i bambini e gli adolescenti, hanno subìto violenze di vario genere. Tali violenze sono regolate, purtroppo, da una legge non codificata dal diritto positivo, ma consueta nell’interazione sociale nonché nel mondo animale: la legge del più forte (nessuno, infatti, si sogna di aggredire o violentare un individuo più forte di sé).

Parliamo, naturalmente, di leggi biologiche legate soprattutto al meccanismo dell’attacco e della fuga o dell’azione e della sua inibizione, originate da meccanismi che controllano le pulsioni biologiche dell’individuo inerenti al soddisfacimento di bisogni fisiologici dai quali l’individuo stesso non può prescindere.

Tali bisogni, nascendo – come si è visto – da pulsioni genetiche, vengono poi controllati a livello sociale attraverso l’”educazione”, più esattamente tramite le istruzioni che si ricevono fin dalla nascita sul come, quando e in base a quali regole è possibile soddisfarli.

Questi argomenti richiederebbero una lunga trattazione, per cui li abbiamo segnalati in quanto dovranno essere seriamente approfonditi se si vorrà poi intervenire a livello politico con strumenti corretti per una prevenzione educativa e, allo stesso tempo, evolutiva della popolazione.

Siamo certi che quasi sempre i violentatori di oggi sono stati in passato violentati, così come i violentati di oggi saranno, purtroppo, per altri versi, i violentatori di domani. In sintesi, il cervello riproduce in tempi diversi quanto ha subìto in precedenza, salvo l’intervento di situazioni “traumatiche” che vanno a modificare le esperienze vissute.

Pur condividendo appieno la lotta contro la violenza di qualsiasi natura, la nostra mente di scienziati e di studiosi non può non ricercare le cause che muovono le leve della violenza stessa.

Tali ricerche sono state svolte al C.E.U. – Centro studi per l’Evoluzione Umana – con un approccio multidisciplinare e integrato, e da tali studi sono emersi dei dati che ci hanno fatto molto riflettere, poiché quasi mai nell’anamnesi dei singoli atti delittuosi è riscontrabile l’atto volitivo. Si è visto, infatti, che vi sono meccanismi neuro psicofisiologici che inducono l’azione in base a stimoli esogeni, i quali attivano frustrazioni latenti all’interno dell’individuo. Queste situazioni sono variabili e dipendenti dalle stimolazioni interattive, per cui si passa da uno stato di “normalità” ad azioni delittuose per poi ritornare alla “normalità” senza che l’individuo ne sia totalmente cosciente: quasi sempre il cervello attiva un ragionamento (alibi) tendente a giustificare l’azione. Laddove non vi riesce, si innesca un processo psicologico che provoca nell’individuo stesso un senso di colpa, a volte molto pericoloso, tale da spingerlo a commettere ulteriori atti delittuosi. Raramente da questo processo deriva una correzione educativa in funzione della sofferenza che si può sviluppare per l’errore commesso.

La variabilità delle circostanze produce effetti diversi, ma tutto è sempre riconducibile ai meccanismi di base sopracitati. Nella specificità delle violenze sessuali condotte sui minori (ma anche sugli adulti) va posto in risalto, in maniera particolare, che qualora venga attivato l’eccitamento sessuale oltre una certa soglia, l’individuo non è più padrone del proprio cervello, per cui mette in atto qualsiasi azione pur di portare a termine l’eccitamento stesso. In questo caso l’educazione ricevuta agisce al di sotto della succitata soglia: la violenza esercitata, infatti, è direttamente proporzionale alla resistenza opposta dalla vittima.

Per affrontare, dunque, molto seriamente il problema, bisogna puntare tutto sull’educazione, tenendo presente che il carattere e la personalità del bambino iniziano a formarsi dal primo giorno di vita e continuano, poi, attimo per attimo per tutto l’arco della sua esistenza. Quel che è certo è che fin dalla nascita l’essere racchiude in sé tutte le potenzialità dell’adulto.

Lo Stato non può prescindere dal considerare tali aspetti e deve, dunque, impegnarsi prevalentemente nella ristrutturazione dell’educazione, iniziando a decidere quale “modello” di Uomo (donna e uomo) e quale tipo di personalità gli esseri umani dovranno avere (visto che, purtroppo, la fisiologia umana nella sua integrità psicofisica e spirituale sfugge ancora alla scienza) per essere cittadini ideali o “normali”.

D’altra parte nelle attuali società non si riscontrano esempi di comportamenti umani e sociali così nitidi da essere presi in considerazione per “clonare” educativamente l’intera collettività.

Nella programmazione scolastica gli insegnanti dovrebbero conoscere a priori gli effetti dei loro insegnamenti, inerenti alla formazione della personalità, e assumere, di conseguenza, la responsabilità dei risultati, così come ogni operatore sociale che abbia compiti formativi e informativi dovrebbe sempre contenere il risultato che vuole raggiungere: il tutto nel massimo rispetto di una dinamica formazione integrale dell’essere umano.

Dobbiamo dire basta alla “vivisezione” della personalità operata dai “media”, dagli insegnanti, dai genitori, poiché l’essere viene continuamente violentato da informazioni dissociate che lo conflittualizzano e lo rendono, di fatto, “schizofrenico” e il peggio è che poi lo si punisce per un comportamento fornitogli di fatto dall’habitat in cui vive e dalla stesa società. A nostro parere l’unica “colpa” che si può realmente attribuire ad un bambino è di essere nato in una certa famiglia, in una certa società e in un certo momento storico che non aveva scelto.

Quanto sopra ci pone di fronte una situazione che non lascia spazio ad elucubrazioni mentali. Occorre solo una forte volontà politica in grado di riqualificare con scienza e coscienza le funzioni pubbliche, spingendole verso una maggiore responsabilizzazione: è lo Stato, infatti, che tutela e garantisce la persona umana in tutti i suoi aspetti individuali e collettivi.

Non più, dunque, demagogia, non più politica della coercizione, ma potere dell’educazione “senza coercizione”, che induca cioè a ex – ducere le potenzialità creative umane e non a reprimerle.

Come abbiamo visto ciò è possibile purché le commissioni di esperti siano formate da individui che abbiano dimostrato non solo in teoria, ma soprattutto in pratica, di essere reali esperti non solo della materia specifica, bensì anche degli aspetti umani che tale materia deve contenere in sé.

E’ quanto mai deleterio continuare a suddividere la cultura e la scienza in discipline umanistiche e tecniche: questi due aspetti della cultura dovranno essere integrati, per cui la tecnica va umanizzata, in quanto ogni pensiero ed ogni azione è un prodotto della mente dell’Uomo e la ricaduta è sempre sull’Uomo e il suo habitat.

Se è vero che la vita ha un’anima, dobbiamo capire profondamente che anche il prodotto della mente umana dev’essere animato da uno “spirito critico” le cui azioni devono favorire la qualità della vita e, quindi, il rapporto individuo – società – ambiente. In poche parole lo Stato deve dare direttive più chiare alla programmazione scolastica ed universitaria e, soprattutto, alla ricerca scientifica, poiché i maggiori problemi della società e dell’ambiente nascono da una mancanza di integrazione tra i dati scientifici delle varie discipline. Attualmente, infatti, la scienza è tutta protesa verso le industrie, verso un consumismo parossistico che alimenta solo la competizione tecnologica internazionale, creando effetti collaterali dannosi per l’ambiente e la vita dell’Uomo. Come tutti sanno, la scienza dovrebbe essere al servizio dell’Uomo e dell’ambiente, ma purtroppo non è così. I politici dovranno farsi carico anche di questo problema.

Dopo aver analizzato i vari aspetti della violenza umana e sociale, vediamo ora quali sono gli strumenti con cui lo Stato interviene non solo per arginare la negatività del contingente, ma anche per tentare di porre la società in condizione di evolvere vero mete più a misura d’Uomo.

Abbiamo visto che la natura umana è regolata da leggi genetiche che impongono agli individui bisogni da cui nessuno può prescindere.

Abbiamo visto anche come tali necessità fisiologiche vengono poi soddisfatte attraverso vie controllate dalla Costituzione che ne determina, appunto, le modalità di soddisfacimento.

Le leggi sono gli strumenti con cui lo Stato tegola il comportamento dei cittadini in funzione di una coscienza politica che dovrebbe essere in grado di contenere in sé la giustizia, ossia ciò che è giusto per la società.

La cronaca, la scienza, i vari rapporti di organismi nazionali e sovranazionali ci informano sullo stato generale delle nazioni. E’ da essi che possiamo conoscere il livello globale di sviluppo dei singoli Paesi e dell’intero pianeta.

Analizzando lo stato generale dello sviluppo socio – economico e umano nazionale, rileviamo che vi sono molte disfunzioni tra cui un incremento della violenza in tutte le direzioni, ed in particolare sui minori.

A questo punto una riflessione è d’obbligo visto che ogni giorno vengono proposte nuove leggi in tutti i campi per contenere il dilagare di fenomeni che, a nostro parere, erano già contemplati nelle leggi vigenti.

La riflessione è appunto sul valore della legge rispetto al grado di coscienza che il cittadino ha della legge stessa.

Come abbiamo già avuto modo di affermare, la disfunzione reale della nostra società è consentita da una mancata applicazione delle leggi esistenti poiché le istituzioni preposte non adempiono appieno ai loro compiti in quanto le menti operative di tali istituzioni sono spesso povere di strategie, ignorano in parte i compiti loro assegnati per cui la coscienza della legge non si traduce in operatività sociale ed umana.

Da ciò deriva il caos che costringe poi il legislatore a formulare nuove leggi che, il più delle volte, o sono copie di quelle già esistenti con l’aggiunta di punizioni più severe, oppure sono leggi propositive di nuovi organi che tendono sempre più a frazionare la già tanto frantumata società al fine di giustificare la parziale inefficacia degli organi esistenti.

I legislatori più democratici, invece, propongono leggi più umane e più giuste che vengono poi strumentalizzate dall’egoismo per raggiungere scopi antitetici allo spirito della legge.

Abbiamo detto all’inizio che l’onestà senza conoscenza è oggi più che mai disarmata di fronte alla disonestà che dilaga strumentalizzando le leggi democratiche e l’esercizio di funzioni pubbliche per poteri individuali e di gruppi.

Abbiamo detto anche che siamo tutti in una grossa pentola che bolle, per cui è bene che ognuno si renda conto che, se vogliamo realizzare uno Stato realmente democratico, pronto ad affrontare e risolvere i problemi del contingente e proiettarsi poi verso un’integrazione europea e planetaria, dobbiamo individuare, innanzi tutto, gli uomini politici “onesti”, fornire loro tutti gli strumenti scientifici in grado di dar loro una conoscenza univoca dei processi psico – sociali, affinché la loro funzione possa produrre quei benefici effetti che portano la società verso uno sviluppo dinamico, armonico e integrato all’insegna dei valori umani che, a nostro parere, sono latenti e quindi pronti ad emergere in tutti gli uomini, in tutti i popoli, qualora si creino le condizioni ideali.

Sentiamo, infine, il dovere di richiamare l’attenzione sul bambino violentato che, come abbiamo detto, subisce un trauma indelebile che per tutta la sua esistenza sarà sempre presente come elemento negativo della sua personalità.

Tale fatto ricade sempre e comunque sulla collettività.

Le società più “civili” convivono ininterrottamente con varie forme di violenza; per converso, l’evoluzione umana ci ha portati a comprendere che la vita andrebbe sempre rispettata.

Sta a noi, cittadini del 2000, farci carico delle nostre coscienze, per iniziare ad agire affinché si producano quelle situazioni in cui ogni essere possa sentirsi rispettato ed indotto a qualsiasi età all’autodeterminazione.

Per far ciò è necessario comprendere che l’autodeterminazione sarà tale quando si consentirà all’individuo di produrre un’attività critica di pensiero, che in alcun modo deve essere ripetitività di pensieri altrui. Ciò significa che bisogna imparare ad integrare il diverso in base a quei principi che ci rendono tutti uguali davanti alla legge, ma nella diversità delle nostre singole realtà.

I genitori, dunque, gli insegnanti, lo Stato, imparino a stimolare l’individuo, figlio, alunno, cittadino, a produrre le proprie idee come contributo all’evoluzione sociale e umana. Fino ad oggi è stato fatto il contrario: si è cercato sempre di robotizzare e condizionare l’essere a ripetere schemi e modelli.

Aboliamo, dunque, ogni forma di violenza e avremo così, certamente, bambini che nell’età adulta non malediranno la vita né chi li ha fatti nascere.